Schopenhauer. La Volontà

Volontà e Libertà secondo Schopenhauer. Da “Il mondo come volontà e rappresentazione”

Schopenhauer, come tanti altri filosofi prima e dopo di lui, dice che l’universo e tutte le cose del mondo fisico che noi conosciamo sono rappresentazioni di una realtà più fondamentale: la “Cosa in Sé”. Mentre l’universo è fatto di “Fenomeni” che hanno luogo nello spazio e nel tempo, la “Cosa in Sé” è unitaria, immutabile ed eterna perché fuori del tempo.

Per indicare la “Cosa in Sé”, Kant usava il termine “Noumeno”, Spinoza “Sostanza”. Per Schopenhauer la “Cosa in Sé” è la “Volontà”. Questo crea un problema per il lettore superficiale. Esiste infatti anche una volontà individuale che evolve nel tempo come fenomeno. Per evitare equivoci userò Volontà con l’iniziale maiuscola per la “Cosa in Sé” per distinguerla dalla volontà, con l’iniziale minuscola, intesa come “Fenomeno” nel divenire del tempo.

Tutti i “fenomeni” del mondo sono necessari in quanto soggetti alla catena di causa-effetto: data una causa ne seguirà necessariamente un certo effetto. Ogni cosa del mondo, essendo effetto di una causa, è determinata necessariamente e non può essere diversa da quella che è. Tutto il contenuto della natura è assolutamente necessario: ogni parte, ogni fenomeno e fatto può essere compreso una volta conosciutane la causa.

Non esiste a ciò alcuna eccezione. Tutte le cose del mondo, cioè i fenomeni, sono il risultato necessario di un’infinita catena di causa ed effetti ma, al tempo stesso, sono oggettivazioni della Volontà, la sostanza oltre il velo di Maia, da cui emergono tutti i fenomeni cioè le cose del mondo.

La Volontà però, essendo cosa in sé, non segue il principio di ragione, è incausata, cioè non è determinata come effetto da una causa e non conosce quindi necessità. Proprio in quanto non soggetta a necessità, la Volontà è libera; in questo caso, però, la libertà è un concetto negativo nel senso che è nient’altro che la negazione della necessità.

Ora ci troviamo di fronte ad un grande contrasto tra la libertà della “Volontà” e della necessità della “volontà”. Ciascuna cosa, come abbiamo visto, è, in quanto fenomeno, assolutamente necessaria. Anche una determinata persona, mettiamo Ciro, è necessariamente e immutabilmente determinata nella catena delle cause e degli effetti. Anche il carattere che si palesa in Ciro è un “fenomeno” che si dipana nel tempo.

Per la libertà che è propria della Volontà, Ciro potrebbe non essere, oppure essere diverso, più alto, più intelligente. Nel qual caso l’intera catena di causalità, della quale Ciro è un anello, sarebbe tutt’altra. Ma da quando all’inizio della sua esistenza Ciro è entrato nella serie delle cause e degli effetti, la sua vita è determinata con necessità, né può quindi più diventare un altro, ovvero modificarsi, né uscir dalla serie, ovvero sparire.

Come ciascuna cosa nella natura ha le sue forze e qualità, che a un dato stimolo reagisce in un certo modo, così Ciro ha un determinato carattere in base alla cui forza e qualità i motivi provocano necessariamente le sue azioni.

Dal momento che entra nel mondo fenomenico, la volontà individuale frantuma l’unità della Volontà in una pluralità di azioni. Ciò nonostante, a causa della sua unità, sita fuori del tempo, la Volontà si presenta regolare, uniforme ed eterna come una forza di natura. 

Ma poiché la singola persona e la sua condotta sono rappresentazione della libera Volontà così avviene che ogni singolo atto della persona medesima venga attribuito alla libera volontà del suo intelletto. Il risultato è che ognuno si ritiene libero a priori in tutte le sue azioni. E solo a posteriori, per esperienza e per meditazione dell’esperienza, riconosce che la sua condotta risulta determinata con necessità da una catena causale, cioè dall’incontro del suo carattere con i motivi.

Da questo deriva che gli uomini più superficiali, seguendo i loro sentimenti, sostengano nel modo più vivo la piena libertà delle singole azioni, mentre i grandi pensatori di tutti i tempi, anzi perfino le dottrine religiose più profonde, l’abbiano negata.

Dubitare della possibilità di non compiere una certa azione dato un certo carattere ed un preciso motivo, secondo Schopenhauer, è “come dubitare dell’uguaglianza fra i tre angoli d’un triangolo e due angoli retti.

Il coesistere di questa necessità fenomenica con la libera Volontà si può meglio spiegare con la distinzione tra “carattere intelligibile” (fuori del tempo in quanto cosa in sé) e “carattere empirico” (sperimentabile come fenomeno nel divenire degli eventi). Questa distinzione già fatta originariamente da Kant, viene mantenuta da Schopenhauer.

Il carattere intelligibile di un individuo è indivisibile e immutabile perché manifestazione diretta della Volontà.

Il carattere empirico, invece, sviluppato e frazionato nel tempo e nello spazio, soggetto alla legge di causalità, è quello che si palesa con evidenza nella condotta dell’individuo medesimo.

Prendiamo un individuo particolare, per esempio un certo albero di limoni, mettiamo il primo entrando nel giardino. Perché quest’albero “conosce” a priori che dovrà produrre limoni e non nespole? Chi glielo dice? E’ uno sfusato amalfitano quindi i limoni che produrrà saranno grossi, allungati e con la scorza profumata e consistente. Noi siamo certi che di anno in anno quest’albero produrrà limoni sfusato amalfitano, ma come fa la pianta a sapere che deve proprio produrre questo frutto? Evidentemente c’è a monte un impulso atemporale, sempre lo stesso, che governa innumerevoli processi temporali. L’albero di limone è il “fenomeno” sempre ripetuto, anche se in forme diverse, di un identico impulso originario.

mia riflessione: l’impulso originale è un’informazione che sta nella materia o è trascendente? Da spinozista/materialista io propendo per la prima ipotesi. Tutte le informazioni per crescere e riprodursi sono nella materia, nel DNA del seme. Rimane da spiegare dove sono registrate le informazioni che regolano (leggi delle natura) l’interazione del singolo individuo con l’ambiente.

Come l’albero di limone, in base all’impulso originario, si presenta necessariamente con il tronco, i rami, le foglie e i frutti allungati, così Ciro, in base al proprio “carattere intelligibile”, produrrà frutti, i suoi atti, per tutta la vita.

Nel divenire del tempo il nostro albero di limone cresce, caccia le bacchette, fa fiori e poi frutti, in quantità e qualità sempre diversa di anno in anno e dagli altri alberi di limoni. Come le caratteristiche complessive definiscono “il carattere” di questa particolare pianta di limone, allo stesso modo la somma di tutti gli atti compiuti da Ciro nella sua vita definisce il suo “carattere empirico”.

Riepiloghiamo. C’è una Volontà, cosa in sé, che è eterna e immutabile perché trascende lo spazio e il tempo. Essa è libera perché non soggetta alla causalità, quindi è “libera dalla necessità”. La Volontà si manifesta in un’infinità di impulsi naturali, anch’essi immutabili e fuori del tempo. Questi sono i caratteri intellegibili: c’è il carattere intellegibile della specie albero di limone, ma c’è anche il carattere intelligibile della particolare pianta di limone posta all’ingresso del giardino, come c’è quello della specie “homo sapiens” e quello di Ciro.

Il carattere intellegibile di Ciro esiste fuori del tempo, cioè esiste prima e dopo il “fenomeno” Ciro e rimane immutabile anche durante la sua esistenza. Ciro ha quel particolare carattere intellegibile espressione della Volontà e deve tenerselo per tutta la via, non può cambiarlo.

Durante l’arco temporale della sua vita Ciro sviluppa un certo carattere empirico che cambia con il passare degli anni in base alle azioni che mette in atto. Può Ciro, usando l’intelletto e le conoscenze acquisite, usare la volontà per cambiare il suo carattere empirico?

Schopenhauer dice di no perché l’intelletto o coscienza conoscitiva è un “fenomeno” e come tale non è libero ma soggetto alla catena di causalità.

Ma non si è sempre detto che gli atti di una persona sono guidati dalla sua coscienza, dal suo intelletto? Non è forse vero che ciascuno è artefice della propria sorte, ’faber est suae quisque fortunae ’ come diceva qualcuno? La decisione dell’intelletto di Ciro di fare o non fare un atto particolare non è chiara dimostrazione della sua libertà di volere?

Purtroppo questa è un’illusione. Le decisioni di Ciro emergono dal confronto/conflitto tra il suo carattere intellegibile e i motivi proposti di volta in volta dal suo intelletto. L’intelletto di Ciro può ben elaborare infiniti motivi ma non ha nessun potere sul carattere intellegibile percui l’esito del contrasto/conflitto è al di fuori del suo controllo.

L’idea che la coscienza o intelletto goda di libertà assoluta ovvero del libero arbitrio (liberum arbitrium indifferentiae) è un inganno perpetrato dalla natura del cervello umano..

Il libero arbitrio è solo un’illusione perché intelletto e Volontà non stanno sullo stesso livello, non hanno pari dignità. Anche se la Volontà, per sua natura originaria e libera, sembra riflettere la stessa originalità e indipendenza nelle decisioni dell’intelletto umano occorre considerare lo stato subordinato dell’intelletto rispetto alla Volontà.

L’intelletto apprende le risoluzioni della Volontà solo a posteriori in maniera empirica. L’unica decisione possibile, e perciò necessaria, nasce dal carattere intellegibile ed è completamente fuori del controllo dell’intelletto. All’intelletto non è dato sapere, nel momento della scelta, ciò che la Volontà, tramite il carattere intellegibile, sta per determinare.

All’intelletto, data una certa situazione, sembra che la Volontà abbia a disposizione due opposte scelte. Questa è però un’illusione perché la Volontà è unica, fuori del tempo e immutabile e non procede quindi per scelte.

Immaginiamo un’asta verticale in precario equilibrio, oscillante a destra e a sinistra. All’intelletto sembra che ci siano due opposte possibilità e può dire soggettivamente “l’asta può abbattersi a destra o a sinistra”. Oggettivamente invece la caduta dell’asta è già determinata in modo necessario non appena è iniziata l’oscillazione.

Allo stesso modo una decisione è indeterminata, e quindi relativa e soggettiva, solo per l’osservatore, ossia per l’intelletto cosciente; mentre oggettivamente, ad ogni scelta che si offra, la decisione è già determinata e necessaria e sale all’intelletto cosciente solo dopo che la decisione è stata presa dal carattere intellegibile.

Ciro è al ristorante e sta consultando il menu. E’ indeciso su due scelte: sta considerando se ordinare un piatto di spaghetti all’astice o un filetto di branzino con verdure al vapore. A favore del primo c’è la spontanea inclinazione (gli spaghetti all’astice in questo ristorante li fanno in maniera divina), a favore dell’altro parla più forte la lungimirante e ragionevole riflessione (deve assolutamente stare a dieta). Dal suo punto di vista entrambe le risoluzioni sono egualmente possibili.

Fino all’arrivo del cameriere per l’ordinazione Ciro si sforza, con fredda meditazione del pro e contro, a porre nella miglior luce i motivi dell’una e dell’altra scelta affinché il motivo più forte possa agire sulla volontà quando sarà il momento. Ma questo limpido prospettare i contrastanti motivi è tutto ciò che l’intelletto di Ciro può fare per la scelta. La scelta vera Ciro l’attende con la medesima passività, con la medesima curiosità intenta, come se attendesse quella d’una volontà estranea. Il suo intelletto non può altro fare, che lumeggiar da ogni parte e ben chiaro la natura dei motivi, ma non già determinare, in quanto inaccessibile, la Volontà medesima.

La risoluzione per gli spaghetti all’astice entra come un punto fermo nella sfera dell’intelletto di Ciro ma la risoluzione proviene dalla natura intima, dal suo carattere intelligibile nel suo confronto/conflitto con certi dati motivi, e quindi ha forza d’assoluta necessità.

Ma questa struttura decisionale che parte dalla Volontà immutabile e fuori del tempo non viene percepita da Ciro che rimane convinto di aver liberamente fatto uso della sua volontà quando il cameriere è venuto a prendere l’ordine. Provate a chiedergli dopo cena come mai, dopo aver considerato tutti i vantaggi della dieta, all’ultimo momento ha detto al cameriere “per me spaghetti all’astice”.

Luigi Di Bianco

ldibianco45@gmail.com