Il buon Dio Padre e il Male

Tutti concordano, credo, sul fatto che Dio sia l’Ente assolutamente infinito, perfetto, onnipotente, onnisciente ed eterno. Ora, in aggiunta a questi attributi, la teologia cristiana afferma che Dio è anche l’Ente sommamente buono che nei confronti dell’uomo agisce amorevolmente come un buon padre. 

A questo punto nasce un dilemma che si può riassumere in queste domande: Se l’Ente sommamente buono e potente crea l’uomo con sommo amore allora da dove hanno origine gli affanni, le malattie, il dolore fisico e morale, la disperazione, i disastri naturali, le guerre, ecc., che perseguitano l’uomo da sempre? Da dove scaturisce l’odio, la cattiveria, la propensione a commettere crimini che sembrano insiti nella natura umana? Può l’Ente sommamente buono e potente produrre una creatura infelice? La suprema potenza, unita a un bontà infinita, non dovrebbe colmare di beni la propria creatura ed allontanare da essa tutto ciò che potrebbe offenderla o affliggerla? 

Puoi vedere chiaramente che c’è una discrepanza logica fra l’infinito amore del Creatore verso l’uomo e il bel risultato di cotanto amore: una creatura sballottata di qua e di là dalle forze negative della natura e dalla malvagità dei suoi simili. Sembra che, nonostante l’onnipotenza e le ottime intenzioni del Creatore, la creatura ’uomo’ non sia riuscita poi granché bene. Possiamo parlare di difetto di fabbricazione? 

Per cercare di dare risposta alle domande sull’origine del Male c’è tutto un filone teologico chiamato teodicea, parola composta dal greco theos, Dio e dike, giustizia: letteralmente, “giustizia divina”. 

La prima risposta della teodicea all’origine del male è quella che interpreta la sofferenza come punizione che Dio infligge agli uomini per i loro peccati. Il male fisico sarebbe la conseguenza del male morale. La Bibbia, con il racconto del peccato originale e della cacciata dal paradiso terrestre di Adamo ed Eva, è esplicita in proposito. Anche nel Vangelo si trovano molti passi che supportano questa interpretazione. Per esempio, al paralitico guarito a Gerusalemme Gesù dice: “Ecco che sei guarito: non peccare più“. (Giovanni 5,14). Questo fa intendere che il povero diavolo era stato punito con la paralisi per aver peccato. Ma è il testo biblico della Genesi a mostrare chiaramente che il male, le sofferenze dell’umanità nascono dal peccato di disobbedienza e di superbia di Adamo ed Eva e dei loro discendenti.

Il male e il dolore quale esito del peccato rievoca un principio teologico della religione ebraica, quella della “giustizia retributiva”: come il benessere e la felicità sono il premio che Dio assegna ai giusti, così gli stenti e la sofferenza sono le punizioni inflitte agli ingiusti (e questo avviene non nell’al di là, cioè nell’inferno, ma nella vita terrena). La consapevolezza di una giustizia retributiva divina qui sulla terra è un forte stimolo per i cristiani per comportarsi bene, per evitare di cadere in peccato. Se mi comporto bene, ragiona il buon cristiano, il Padre eterno mi metterà nella lista dei buoni e manderà disgrazie e dispiaceri a qualcun altro … non certo a me. 

Ma è proprio così? Non credo proprio. Non sono necessarie indagini statistiche per provare che, nel mondo, molti innocenti soffrono e molti malvagi prosperano. La nostra esperienza di ogni giorno “dimostra con infiniti esempi che i vantaggi e le disgrazie capitano ugualmente e senza distinzione ai pii e agli empi” (ETICA I, Appendice). 

Così quando una disgrazia capita a un buon cristiano la prima reazione è di allibita sorpresa. Perché proprio a me? Ma non mi sono sempre comportato bene? E’ la stessa reazione di Giobbe. 

Giobbe è un uomo devoto a Dio, un uomo giusto, che non ha mai fatto male a nessuno. Improvvisamente, una serie di catastrofi sconvolge la sua vita: egli perde tutti i suoi beni materiali, i suoi figli sono uccisi, il suo corpo si ricopre di piaghe. Per Giobbe, queste disgrazie sono ancora più dolorose, proprio perché rendono indecifrabile la giustizia divina. Nascono così le sue domande: “Perché Dio mi calpesta così, e lascia invece nel benessere i rei e gli empi?“, “Perché han lunga vita i malvagi, giganteggiano, crescono in ricchezza? La loro prole è assieme a loro, stabile, riescono a vedere i propri discendenti. Le loro case non conoscono la paura, lo scettro divino non li minaccia” (Il libro di Giobbe). 

Alla fin fine, la giustizia retributiva non sembra un argomento valido per spiegare l’origine del male. Il Libro di Giobbe, infatti, sembra proporre un’altra tesi, quella della “sofferenza come prova”. 

Siccome Giobbe supera la prova accettando con rassegnazione le disgrazie, alla fine del libro Dio riconosce la sua vera fede e per questo lo premia. “E il Signore benedisse l’ultima parte della vita di Giobbe più del suo principio; ed egli possedette quattordicimila ovini e seimila cammelli e mille coppie di buoi e mille asine. Ed egli ebbe sette figli e tre figlie. […] Dopo questi fatti, Giobbe visse ancora cento e quarant’anni, poté godere dei propri figli e dei figli dei propri figli per quattro generazioni. Poi Giobbe morì, anziano e sazio di anni” (Il libro di Giobbe). 

In questo caso, la sofferenza non è conseguenza della colpa, dei peccati commessi, è invece una prova cui Dio sottopone l’uomo con fine salvifico. 

L’idea di Dio che usa il male per mettere alla prova l’uomo è per me di un’assurdità pazzesca. Immagina che Dio metta alla prova un messaggero che deve consegnare un plico rendendogli il compito il più difficile possibile, costringendolo a percorrere un labirinto buio, poi a superare a nuoto un fossato pieno di coccodrilli e, alla fine, a scalare un’alta muraglia. Nota bene l’assurdità della situazione: la resistenza fisica e la forza di volontà del messaggero sono quelle che sono, sono quelle cioè che lo stesso buon Dio ha determinato per lui. Se costui non riesce a risalire la muraglia e a consegnare il plico, la colpa è solo di Dio che non gli ha regalato volontà e gambe abbastanza forti. Perché punirlo?

L’esempio di “sofferenza come prova” più crudele è quella che Dio mette in atto nei confronti di Abramo: “ […] Dio tentò Abramo dicendogli: “Abramo, Abramo!”. Rispose: “Eccomi!”.  Riprese: “Su, prendi tuo figlio, il tuo diletto che tu ami, Isacco, e va’ nel territorio di Moria, ed offrilo ivi in olocausto su di un monte che io ti dirò!”.(Genesi 22, 1-19). Pensa un po’: Dio chiedeva ad Abramo di uccidere il proprio figlio! Meno male che si trattava solo di uno scherzo … infatti, Dio, all’ultimo momento, manda un angelo a fermare la mano di Abramo! Perché un Dio infinito, perfetto, onnipotente e onnisciente deve ricorrere a questi sadici giochetti? Non sapeva già prima, in quanto onnisciente, che Abramo non avrebbe esitato a sacrificargli il figlio prediletto? Portare alla disperazione il povero Abramo già conoscendo la sua predisposizione d’animo è un semplice e puro atto di sadismo. E Isacco? Che c’entrava Isacco? Il povero bambino aveva capito tutto … senza alcuna colpa stava per essere ammazzato dal padre … immagina il suo stato d’animo. 

Questa riflessione porta alla luce un altro grave dilemma: come la mettiamo con la sofferenza degli innocenti? Parlo di tanti bravi ragazzi che perdono la vita in incidenti stradali, dei bambini nati deformi o mentalmente handicappati, dei bambini malati di cancro. E la sofferenza degli animali? Quale tesi applichiamo in questo caso? Quella della giustizia retributiva o quella della sofferenza come prova? Che peccato può aver commesso un povero bimbo che lotta per la vita nel reparto oncologia? Quale prova può essere chiamato a dare? 

Qualcuno suggerisce che la malattia del bimbo, come il sacrificio di Isacco, sia uno strumento indiretto della volontà divina. Secondo queste teste bacate, Dio avrebbe fatto ammalare di cancro il piccolo per punire, mettiamo, il padre peccatore o per mettere alla prova la madre. Che idea pazzesca! A me personalmente fa venire il voltastomaco. Solo un Dio psicopatico potrebbe infliggere dolori e sofferenze a un’innocente creatura per punire qualcuno o mettere alla prova qualcun altro. Che c’entra il povero bambino? Sarebbe vero quello che scriveva lo psichiatra e psicoanalista Carl G. Jung nella sua ‘Risposta a Giobbe’, che, in casi come questi, il Creatore si rivela inferiore alla sua creatura e in possesso di una coscienza ancora indifferenziata. Per fortuna la coscienza indifferenziata, secondo me, ce l’hanno solo coloro che formulano simili ipotesi. 

A questo punto viene proposta una terza tesi: “il Male come opera del Diavolo”. Per proteggere Dio dalla possibile accusa di essere il responsabile del Male, ci s’inventa un anti-Dio, Satana, la cui esistenza e la cui azione non sono controllate da Dio. Il responsabile del Male non è più il buon Dio e nemmeno l’uomo ma è Satana. Questa tesi sembra derivare direttamente dal Manicheismo una religione fiorita nella seconda metà del III secolo. Secondo i manichei, il bene e il male (o meglio, la Luce e le Tenebre) derivano dall’azione di due potenze divine distinte e contrapposte, una buona l’altra malvagia, che si contendono il dominio del mondo.

Nel cristianesimo si ritrova un manicheismo strisciante quando viene proposta una contrapposizione tra il regno di Dio e quello del Diavolo come nel libro dell’Apocalisse di Giovanni. Nell’Apocalisse sono descritte le visioni profetiche di due fantastici combattimenti chiamati escatologici (dal greco éskatos = ultimo: che avranno luogo all’approssimarsi della fine dei tempi). In un primo momento, il Diavolo ha il sopravvento e il mondo è colpito da catastrofi e cataclismi immani. Arriva poi Cristo su un cavallo bianco e, in un cruento primo combattimento escatologico, sconfigge il Diavolo e lo incatena per mille anni. Durante il regno di Cristo dei ‘mille anni’ la pace regna sulla Terra. Passati i mille anni però, liberatosi dalle catene, il Diavolo scatena il secondo combattimento escatologico che si conclude, dopo immani sofferenze per l’umanità, con la vittoria finale di Cristo, la fine della storia, il giudizio universale e la visione della Gerusalemme celeste. Questo è quello cui l’umanità andrà incontro alla fine dei tempi secondo la teleologia (dal greco telos, “fine” o “scopo”) cristiana. 

Ovviamente queste visioni profetiche non sono da prendere alla lettera ma ciò non toglie che l’idea del Male come opera del Diavolo sia molto ben radicata nella cultura cristiana. I cristiani, oltre a credere nel Dio personale, credono nell’esistenza personale del Diavolo come puro spirito negativo. Ma da dove sbuca fuori questo Diavolo? Chi l’ha creato? Se non è ‘causa di sé’, in quanto solo Dio è causa di sé, si deve forse ammettere che è Dio stesso che lo fa esistere e lo mantiene nell’essere. Insomma se il Diavolo esiste, non può non essere opera di Dio. Allora tutta la storia della lotta fra il Bene e il Male è solo una grande baggianata. Il Diavolo agisce su mandato e con il permesso di Dio, quindi, il Male risale alla responsabilità di Dio stesso. La domanda da porsi è questa: “Dio in quanto onnipotente, potrebbe evitare, assolutamente parlando, l’infelicità degli uomini e il Male nella natura?” La risposta è “senz’altro sì”. Allora Dio non solo permette il Male, anzi, concorre e contribuisce alla costruzione della possibilità del Male utilizzando il Diavolo come suo strumento. Perché lo fa?

I teologi risponderebbero: per farci il grande dono del libero arbitrio, per darci la possibilità di scegliere il Bene invece che il Male.  Come puoi immaginare, questa risposta è per me completamente assurda per il semplice fatto che, per un determinista come me, il libero arbitrio non esiste (vedi: A proposito del Libero Arbitrio). Quest’edificio fantastico di punizioni, prove salvifiche, disegni divini e diabolici sembra essere stato eretto per legittimare qualcosa che non esiste, ovvero il libero arbitrio. 

Torniamo al nostro discorso sul Male. Abbiamo analizzato, senza aver trovato una risposta razionale, tutte le tesi sull’origine del Male e alla fine siamo tornati alla domanda iniziale: come si conciliano l’amore del buon Dio onnipotente nei confronti dell’uomo e la sofferenza umana? 

A questo punto molti uomini di Chiesa si arrendono, ammettono che l’origine del Male non può essere razionalmente spiegata e invocano l’incommensurabilità della sapienza di Dio e l’imperscrutabilità del suo volere. Bene! Complimenti per l’onestà intellettuale. 

Secondo me l’impossibilità di trovare una risposta razionale dipende dal fatto che la teologia cristiana, basando il suo impianto dottrinale sul presupposto/pregiudizio che l’uomo sia al centro dell’universo e dell’attenzione di Dio, parta con il piede sbagliato.

L’uomo non è un regno a parte nel regno della Natura! L’uomo è soggetto, come tutto nel mondo, solo alle leggi eterne e immutabili della Natura, non al voler capriccioso di fantastici personaggi.

Luigi Di Bianco

ldibianco45@gmail.com