L’interpretazione di Bohm

Meccanica quantistica … per stupidi (7). L’interpretazione causale/ontologica di David Bohm

Luna era sistemata come il solito di lato al monitor del computer ma quando ha capito che mi mettevo a scrivere di Meccanica Quantistica si è alzata stiracchiandosi e si è diretta verso la sua copertina preferita sul divano. Prima di stendersi a gambe all’aria non ha potuto fare a meno di lanciarmi una delle sue solite frecciate: “Basta con queste particelle … parlami invece di croccantini. Veramente non capisco perché perdi tempo con queste astruserie. Che te ne frega di particelle, elettroni, fotoni e atomi. Non ci riesci perché non sei una cima, ma se anche tu riuscissi a capire i segreti della Meccanica Quantistica cosa ti entra in tasca? E poi tutti questi grandi fisici che litigano tra di loro, che benefici hanno portato alla vita pratica dell’uomo?

Cara Luna, a parte il fatto che i tuoi croccantini sono fatti di particelle, rispondo alle tue domande cominciando dall’ultima. Una buona parte delle tecnologie moderne sono basate, per il loro funzionamento, sulla meccanica quantistica. Ad esempio, il microchip, il laser, il microscopio elettronico e la risonanza magnetica nucleare, solo per citarne alcuni.

Cosa mi entra in tasca? Niente di concreto, ma la mia curiosità non si ferma, come la tua, al tipo di croccantini in commercio o se è più buona la salsa di salmone o quella di pollo. La mia curiosità mi spinge a cercare di capire anche le cose più astratte e astruse. La ricerca del sapere è per me un piacere. La conoscenza non è poi per me fine a se stessa, mi serve ad avere un’idea del mondo in cui viviamo, una visione ontologica disinquinata da fantasie e dalla superstizione.

Fiato sprecato: Luna si è addormentata ad occhi aperti a metà del discorso. Vedi foto.

Torniamo a noi. Siamo giunti infine all’interpretazione causale o ontologica della Meccanica Quantistica di David Bohm anche nota come Meccanica Bohmiana.

Per onestà intellettuale, devo premettere che Bohm, insieme a Spinoza, Einstein, Krishnamurti e pochi altri, è uno dei punti di riferimento della mia visione del mondo. Tieni quindi presente che la mia trattazione della MQ nell’interpretazione di Bohm è, in qualche modo ‘di parte’. Non ti preoccupare però: Luna è molto scettica riguardo alle ipotesi di Bohm e ne sono certo di tanto in tanto interverrà forzandomi a essere obiettivo.

Rileggendo un’intervista a David Bohm del 1987 sono rimasto colpito dall’origine, ancora in tenera età, della sua intuizione di totalità indivisa. Egli dice: “Quando ero bambino, una certa preghiera che recitavamo ogni giorno in Ebraico, diceva d’amare Dio con tutto il tuo cuore e la tua anima e tutta la tua mente. Da queste parole intuivo una concezione di totalità intesa come modo di vivere che ebbe su di me un impatto straordinario. Sentivo anche un senso di totalità della natura. Mi sentivo legato intimamente agli alberi, alle montagne, alle stelle, non al caos delle città.“(David Peat e John Briggs, 1987)

Anche per me, il senso di Dio inteso come totalità delle cose nasce dalle preghiere che recitavo da bambino ogni sera prima di addormentarmi. Anche per me le preghiere di amore verso Dio si trasformavano in un intimo legame di amore e compassione con ‘gli animali, gli alberi, le montagne, le stelle’.

Prima di tornare alla MQ penso che sia il caso di dire qualcosa sul concetto di ‘totalità indivisa’, non dal punto di vista metafisico, ma da quello della fisica moderna.

Il concetto di totalità indivisa nega l’idea classica che il mondo sia analizzabile in parti separate ed esistenti autonomamente. Abbiamo invertito la classica nozione per cui le “parti elementari” indipendenti del mondo sono la realtà fondamentale e i vari sistemi sono solo arrangiamenti e forme particolari contingenti di queste parti. Piuttosto, noi diciamo che le interconnessioni quantistiche inseparabili dell’intero universo sono la realtà fondamentale e che le parti, anche se si comportano come relativamente indipendenti, sono solamente forme contingenti e particolari di questa totalità ”. (David Bohm, On the Intuitive Understanding of Nonlocality as Implied by Quantum Theory, Foundations of Physics, vol 5, 1975).

Se l’uomo pensa alla totalità come costituita di frammenti indipendenti, allora ecco che anche la sua mente tenderà a operare alla stessa maniera; ma se l’uomo riesce a includere tutto coerentemente e armoniosamente in una totalità indivisa, senza confini, allora la sua mente tenderà a funzionare in modo unitario e a questo seguirà un’azione ordinata all’interno del tutto.” (David Bohm, Wholeness and the Implicate Order, 1980).

In altre parole, non sono i cosiddetti ‘mattoni fondamentali’ della natura, cioè le particelle elementari separate e autonome come gli elettroni, i protoni, i fotoni, i bosoni di Higgs, ecc … a definire e a formare la realtà fondamentale. E’ tutto il contrario: è la realtà fondamentale unica e indivisibile a generare e governare il comportamento delle particelle. Per me, questa tesi è di un’evidenza lampante. D’altra parte non si è mai vista una casa costruita in base alle decisioni autonome dei mattoni su dove e come disporsi.

Il concetto di totalità indivisa sgorga naturalmente dalle due più recenti teorie della fisica moderna: la relatività e la meccanica quantistica. La relatività ci spiega che non esiste un evento esterno che capita ‘là fuori’ e un osservatore freddo che osserva, distaccato, l’evento. Lo stato dell’osservatore, per esempio la sua velocità, modifica le proprietà dell’evento osservato. Non esiste quindi un evento o un fatto assoluto e un osservatore autonomo, piuttosto esiste la convergenza dei due in un’osservazione. Evento e osservatore NON sono SEPARABILI. La connessione fra l’osservatore e quanto viene osservato è ancora più lampante nella meccanica quantistica. Negli esperimenti della MQ non è possibile isolare la particella sotto osservazione dallo strumento di misura e, più in generale, dal contesto; come non è possibile tirare una linea di demarcazione fra osservatore e quanto osservato. Erwin Schroedinger, quello del gatto famoso, scrive a proposito: “Soggetto e oggetto sono soltanto un unico. Non si può dire che la barriera tra i due si sia infranta a seguito delle recenti esperienze della fisica quantistica, perché questa barriera non è mai esistita.

La più grande e profonda separazione che la nostra mente percepisce, quella cioè fra soggetto/io/coscienza e gli oggetti/enti esterni alla mente è una mera illusione. La fisica moderna si è spinta oltre la nozione di una realtà fissa, assoluta, che ‘se ne sta la fuori’ ad aspettare di essere osservata e studiata. Noi siamo parti non separabili della realtà, siamo forme contingenti e finite della totalità indivisa. Spinoza diceva la stessa cosa quando affermava che noi siamo manifestazioni finite e temporali di una sostanza infinita ed eterna.

Luna che se la dorme con le quattro zampe per aria, a questo punto, apre gli occhietti beffardi e sembra dirmi. “… adesso ti sei messo a fare il filosofo … rileggiti il titolo del capitolo … stai andando fuori tema”. Grazie Luna. Torniamo allora a David Bohm per una breve biografia (mia libera traduzione da https://en.wikipedia.org/wiki/David_Bohm ).

David nasce nel 1917 a Wilkes-Barre, Pennsylvania, Stati Uniti, da padre ebreo immigrato ungherese e madre ebrea lituana. E’ educato soprattutto dal padre, proprietario di un negozio di mobili e assistente del rabbino locale. Pur essendo cresciuto in una famiglia ebraica molto religiosa, nella sua adolescenza David diventa agnostico.

Frequenta il Pennsylvania State College (ora The Pennsylvania State University), laureandosi nel 1939. Per un anno frequenta il California Institute of Technology ma è presto selezionato per far parte del gruppo di fisica teorica diretto da Robert Oppenheimer presso l’University of California, Berkeley.

In questo periodo David vive nello stesso quartiere di altri fisici del gruppo di Oppenheimer e con loro condivide non solo le ricerche scientifiche, ma anche una visione politica radicale. David diventa attivo in organizzazioni come la Lega comunista giovanile, il Comitato del Campus contro la coscrizione, e il Comitato di mobilitazione per la pace. Tutte queste organizzazioni, più tardi, saranno definite organizzazioni comuniste dalla famosa commissione FBI di J. Edgar Hoover.

In quegli anni il progetto Manhattan impegna gran parte della ricerca fisica di Berkeley nel tentativo di produrre la prima bomba atomica. Il prof. Oppenheimer chiede a David di lavorare con lui a Los Alamos (il laboratorio Top-Secret, fondato nel 1942 per progettare la bomba atomica) ma il direttore del progetto Manhattan, il generale Leslie Groves, non approva il nulla osta di sicurezza di David per i suoi trascorsi politici di sinistra. Così David rimane a Berkeley a insegnare fisica fino all’ultimazione, in circostanze molto curiose, del suo lavoro per il dottorato. I calcoli della dispersione di collisione di protoni e deutoni che David aveva completato per il dottorato si rivelano utili al progetto Manhattan e immediatamente sono classificati ‘Top Secret’. Non avendo il nulla osta di sicurezza, a David è negato l’accesso al proprio lavoro: non solo gli è vietato di difendere la sua tesi, non gli è nemmeno permesso di stamparla. Per accontentare l’Università, Oppenheimer certifica semplicemente che David ha completato con successo la ricerca per il dottorato.

Dopo la guerra, David diventa professore all’Università di Princeton, dove lavora a stretto contatto con Albert Einstein. Nel maggio del 1949, all’inizio del periodo del maccartismo, la Commissione per le attività anti-Americane chiama David Bohm a testimoniare sui suoi precedenti legami con sospetti comunisti. David si appella al quinto emendamento e si rifiuta di testimoniare contro i suoi colleghi. Nel 1950, proprio per aver rifiutato di rispondere alle domande della Commissione, David è arrestato ma è assolto e liberato nel maggio 1951 quando, però, la Princeton University lo ha già sospeso dall’insegnamento. Dopo l’assoluzione, i colleghi cercano in tutti i modi che David sia reintegrato a Princeton. Lo stesso Einstein propone David come suo assistente. L’Università, tuttavia, influenzata dal cupo maccartismo che regna negli Stati Uniti, non gli rinnova il contratto. David è così costretto a partire per il Brasile per assumere la cattedra di fisica presso l’Università di San Paolo su raccomandazione di Einstein e Oppenheimer.

Al suo arrivo in Brasile nel 1951 il console degli Stati Uniti di San Paolo gli confisca il passaporto e lo informa che potrà riaverlo solo per tornare negli Stati Uniti. Questo fatto demoralizza Bohm oltre misura perché non gli consente di viaggiare in Europa come aveva sperato. Per essere libero di muoversi, egli allora rinuncia alla cittadinanza americana, chiede e ottiene quella brasiliana. Rimane in Brasile solo per pochi anni. Nel 1955 David si trasferisce in Israele dove trascorre due anni d’intenso lavoro presso il Technion di Haifa. Qui conosce Sarah Woolfson che sposa nel 1956. Passano due anni e, nel 1957, David accetta un incarico di ricerca presso l’Università di Bristol. Si trasferisce in Inghilterra dove assume la cittadinanza inglese. Nel 1961 è nominato professore di fisica teorica presso il Birkbeck College dell’Università di Londra. Dal 1961 vive e lavora a Londra dove muore per infarto il 27 ottobre 1992, all’età di settantaquattro anni.

Negli ultimi anni della sua vita, Bohm si concentra sulla coscienza e sulla mente arrivando alla conclusione che non c’è separazione neanche fra pensiero e materia, confermando, così, la tesi monista di Spinoza che aveva unificato la ‘res cogitans’, il pensiero, e la ‘res extensa’, la materia, nella ‘res divina’. Purtroppo il concetto di non-località del pensiero propugnato da Bohm ha dato spunto a un’ondata di movimenti ‘new-age’. Sono spuntati come funghi eccentrici guru spirituali che, avvalendosi delle tesi di Bohm in modo estensivo e improprio, hanno fatto fortuna proponendo una visione del mondo fondata sul trascendentale, il paranormale, l’occultismo, la telepatia, la precognizione, il contatto con i morti … con gli UFO … e chi più ne ha, più ne metta. Per questo motivo, Bohm è conosciuto dal vasto pubblico più come un santone mistico che come uno dei più geniali fisici dell’ultimo secolo. Peccato.

Fine della biografia.

Come tutti i fisici del tempo, anche Bohm, all’inizio della carriera, accetta l’interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica. Resta solo stupito dallo scarsissimo interesse mostrato da Bohr e dai fisici che aderiscono all’interpretazione di Copenaghen per le interconnessioni non-locali. Bohm invece, per via dei suoi trascorsi accademici, è particolarmente interessato proprio a quest’aspetto della MQ.

Durante la sua permanenza a Berkeley, nell’ambito di un lavoro sul plasma, Bohm scopre un particolare comportamento degli elettroni noto oggi come ’Bohm diffusion’. La sua formula, che definisce le modalità di diffusione del plasma in un campo magnetico, rimane ancora oggi un punto di riferimento assoluto. Questa esperienza è il primo contatto di Bohm con le interconnessioni fra particelle. Un ‘plasma’ è un gas che contiene con elevata densità elettroni e ioni positivi. Bohm resta stupito quando nota che gli elettroni contenuti nel plasma non si comportano come entità separate le une dalle altre, ma si muovono come se fossero parte di un tutt’uno interconnesso. Osservando gli elettroni a uno a uno sembra che abbiano un movimento casuale e che ognuno vada per i fatti suoi, invece, osservando gruppi di elettroni si nota che il movimento globale è sorprendentemente ben organizzato. Come una sorta di ameba (animale unicellulare che cambia facilmente forma), il plasma si rigenera costantemente e isola le impurità in un punto preciso, con un comportamento che ricorda quello di organismi viventi che isolano sostanze estranee in cisti. Bohm rimane affascinato da queste qualità ‘organiche’ degli elettroni, e dirà spesso di avere l’impressione che ‘il mare di elettroni sia vivo’.

Più tardi, durante la permanenza a Princeton, Bohm approfondisce le ricerche concernenti il comportamento degli elettroni nei metalli. Ancora una volta, osserva che comportamenti apparentemente casuali di singoli elettroni riescono a produrre effetti complessivi altamente organizzati. Come gli elettroni del plasma studiati a Berkeley, anche gli elettroni dei metalli si muovono coreograficamente come ballerini di un balletto ben organizzato. Si tratta di fenomeni che coinvolgono interi ‘oceani’ di particelle e dove sembra che ogni singola particella sappia cosa stiano facendo gli altri miliardi di miliardi di particelle.

Con queste esperienze alle spalle, Bohm non può certo essere soddisfatto dall’interpretazione di Copenaghen della MQ. Prova un disagio crescente perché sente che la questione dell’interconnessione non-locale è importantissima e che non può essere nascosta in fondo al cassetto come sembrano fare Bohr e compagni. Per migliorare la comprensione della materia Bohm decide di scrivere lui stesso un libro di testo attenendosi strettamente ai dettati dell’ortodossia di Bohr. Al termine del lavoro i suoi dubbi non sono dissolti ma, anzi, ingigantiti.

Quando il suo libro di testo “Teoria Quantistica” viene pubblicato nel 1951 è adottato nelle migliori università e diventa rapidamente un classico ma in una materia della quale lo stesso autore non è più sicuro. Per sentire il parere di altri fisici Bohm manda copia del libro ai suoi colleghi più illustri. Vediamo cosa dice in proposito egli stesso in un’intervista del 1987.

Negli anni ’50 ho inviato il mio libro (Quantum Theory) a vari fisici quantistici, inclusi Niels Bohr, Albert Einstein e Wolfgang Pauli. Bohr non ha risposto, ma Pauli l’ha gradito. Albert Einstein mi ha inviato un messaggio, avrebbe desiderato parlarmi. Quando ci siamo incontrati, ha detto che nel libro avevo fatto un buon lavoro per quanto si possa fare con la meccanica quantistica. Però non era ancora convinto che la teoria, nell’interpretazione di Bohr che io avevo fedelmente esposto nel libro, fosse una teoria soddisfacente“.

Bohm non può far altro che confessare di avere le stesse perplessità. Einstein e Bohm riconoscono alla fisica quantistica la capacità di prevedere i fenomeni studiati … ma non accettano quanto affermato da Bohr e seguaci, e che cioè la teoria quantistica è completa così com’è e che non è possibile giungere ad alcuna spiegazione più chiara di ciò che succede nel mondo subatomico. Come dire: non esiste alcuna realtà più profonda del mondo subatomico, quindi nessuna risposta più profonda può essere trovata. Fine del discorso.

Questo turbava la sensibilità filosofica di Bohm ed Einstein. Che significa che una teoria è completa? Bohm, in particolare, obbietta con forza al concetto di completezza di una teoria scientifica osservando che la natura può benissimo essere infinita e nessuna teoria può pensare di spiegarla completamente. Egli suggerisce di evitare l’assunzione di completezza, adottando invece un atteggiamento di apertura mentale. Bohm pensava che non solo la filosofia ma anche la fisica non deve porre limiti all’immaginazione intellettuale, non deve essere frenata da certezze dogmatiche che oscurano la mente a ogni speculazione. Estendeva alla fisica quello che Bertrand Russell diceva a proposito della filosofia.

Philosophy is to be studied … to enrich our intellectual imagination and diminish the dogmatic assurance which closes the mind against speculation.” Bertrand Russell. The Problems of Philosophy (1912)

Luna, a questo punto, alza gli occhi al cielo e sospira. Sembra dire: “guarda … tu ovviamente sei solo un povero idiota che non capisce il metodo scientifico. Agli scienziati non interessa la folle speculazione ontologica o l’immaginazione intellettuale. L’obiettivo della scienza è semplicemente quello di migliorare la nostra capacità di prevedere i risultati sperimentali per creare tecnologia utile. Una teoria fa una previsione relativa al valore quantitativo di qualche misura specifica di un certo esperimento. Quando l’esperimento è eseguito e il risultato misurato corrisponde con la previsione quantitativa, allora si dice che la teoria è stata verificata. Per contro, se il valore sperimentalmente misurato è in disaccordo con la previsione quantitativa, allora si dice che l’esperimento falsifica la teoria. Tutto qui. Capito adesso cos’è il metodo scientifico? Che c’entra l’immaginazione con il metodo scientifico?

Cara Luna, innanzitutto cerca di non offendere. D’accordo … il metodo scientifico è basato sulla verifica sperimentale … ma la teoria viene prima degli esperimenti … senza qualcuno che ‘la immagina’, come nasce una teoria scientifica? Vedo, poi, che tu sei d’accordo con i fisici positivisti dell’interpretazione di Copenaghen, quelli del ‘taci e calcola’. Io sto invece con Einstein e Bohm e penso che la scienza abbia anche il compito di favorire la comprensione della natura a un livello più profondo, non solo quello di creare tecnologia utile. Non per questo sono un idiota.

Luna non è pronta a ribattere a questa mia stringente argomentazione e fa finta di essersi addormentata.

Ma torniamo a Bohm. Ispirato dalle conversazioni con il grande collega, egli riconosce che i suoi dubbi hanno senso eccome, si libera dell’oppressione dei dogmi Bohriani, apre la mente e decide di cercare un’interpretazione alternativa.

L’approccio di Bohm riprende l’idea della cosiddetta ‘onda pilota’ che Louis de Broglie presenta alla quinta Conferenza Solvay che si tiene a Brussels nel 1927.

5th Solvay Conference, Brussels, 1927

Nella sua presentazione de Broglie parla di una particella associata a un’onda che ne guida il moto (da cui il termine onda pilota). Matematicamente tale onda pilota è descritta dalla classica funzione d’onda della meccanica quantistica, corretta da un fattore che rende conto dell’influenza sul moto della particella.

Ecco come gli storici raccontano l’esito della presentazione di de Broglie: “E’ stato subito chiaro che nessuno ha accettato le sue idee. . . Infatti, con l’eccezione di alcune osservazioni di Pauli, l’interpretazione causale di de Broglie non è stata ulteriormente discussa nel corso della riunione. Solo una volta Einstein vi ha fatto cenno en passant“. (Jammer, Le interpretazioni della meccanica quantistica in una prospettiva storica).

L’ipotesi è così silenziosamente bocciata e lo stesso de Broglie non ci torna più sopra, anche se rimane intimamente convinto della sua validità.

Nel 1951, 24 anni dopo, Bohm rispolvera l’onda pilota e ne parla con Einstein. “ … io accennai all’interpretazione causale di de Broglie (dice che l’elettrone è una particella, ma possiede anche un campo attorno. La particella non è mai separata da tale campo e il campo influisce sul movimento della particella in certi modi). A Einstein l’interpretazione causale di de Broglie non piacque perché conteneva questa nozione di azione immediata a distanza. Egli credeva solo nell’azione locale”. (David Bohm, On Quantum Theory, Interview, 1987).

Che Einstein fosse contrario all’ipotesi dell’onda pilota è ben comprensibile se si pensa che l’azione immediata a distanza è in contrasto con la sua Teoria della Relatività. D’altra parte però l’onda pilota ripristina il realismo e la causalità tanto cari a Einstein. Luna è ben sveglia e vigile e m’interrompe: “Cosa vuol dire … spiegati meglio …. poi, non puoi cercare di evitare il termine causale? Ogni volta faccio confusione con casuale ”.

Ok Luna, facciamo così, continuerò a usare il termine ‘causale’, cioè determinato da cause, ma, invece di ‘casuale’, userò il corrispondente termine inglese ‘random’. Per cercare di spiegarmi meglio su realismo e causalità metto a confronto le due interpretazioni: quella di Copenaghen e quella causale di Bohm-de Broglie.

A costo di ripetermi ricordo che l’interpretazione di Copenaghen si fonda su due assunti: (1) una particella, un elettrone per esempio, ha un’esistenza solo potenziale fino a quanto non è osservata. Una volta osservata con uno strumento di misura, la potenzialità ‘collassa’ nell’esistenza concreta e oggettiva della particella; (2) quando non si manifesta come particella, lo stato potenziale è rappresentato da una ‘funzione d’onda’ che deve essere intesa solo come formula matematica: non c’è un’onda reale dietro i numeri. In pratica, secondo quest’interpretazione, non esiste una realtà oggettiva sub-atomica.

Nell’interpretazione causale di Bohm-de Broglie, invece, “… l’elettrone è una particella reale, ma possiede anche un campo reale attorno. La particella non è mai separata da tale campo e il campo influisce sul movimento della particella in certi modi(Bohm). Quindi, anche quando non osservato o misurato, il mondo sub-atomico è popolato da oggetti reali, come la particella elettrone e il campo che la circonda. Non solo … i movimenti della particella non sono random ma causali, cioè determinati dal campo. Non c’è alcun bisogno di ipotizzare l’oscuro collasso della funzione d’onda perché la realtà oggettiva (particelle, campi) è sempre lì a popolare il livello quantico, non è creata in base ai capricci dell’osservatore.

Luna, sghignazza sotto i lunghi baffi: “ah ah … una particella reale! Ecco, vedi … questo è il realismo ingenuo di chi immagina la particella come una piccola sfera. Ma Bohm l’ha mai vista questa particella reale?” Cara Luna e … Bohr l’ha mai visto il collasso della funzione d’onda? Devi ammettere che Bohr vuol farci credere qualcosa di ben più assurdo di quello che propone Bohm. Poi, se hai un po’ di pazienza, vedrai che la particella, secondo Bohm, è molto di più di una semplice sfera.

Bohm, parte dall’onda pilota di de Broglie, ma si spinge ben oltre.

La sua interpretazione causale/ontologica si basa sui seguenti assunti:

  1. la funzione d’onda, ψ, non è solo un simbolo matematico ma è un campo reale, che chiamo campo-ψ, esistente oggettivamente;
  2. oltre al campo- ψ, esiste una particella reale rappresentata matematicamente da un set di coordinate sempre ben definite che cambiano in modo determinato;
  3. la particella tende a muoversi secondo le leggi classiche del moto con una velocità inversamente proporzionale alla sua massa e direttamente proporzionale al potenziale classico (V) del campo-ψ;
  4. sulla particella non agisce solo il potenziale classico ma anche un ‘potenziale quantico’ (Q) definito dalle condizioni di contorno;
  5. Il campo-ψ è caratterizzato da una rapidissima e caotica fluttuazione. I valori della funzione d’onda che vengono fuori dalla MQ sono una media di queste fluttuazioni random su un caratteristico intervallo di tempo.
  6. la fluttuazione del campo-ψ è determinata da un più profondo livello sub-quantico, più o meno, come la fluttuazione del polline nel moto browniano è determinato da un più profondo livello atomico.

La novità assoluta introdotta da Bohm rispetto a de Broglie è il potenziale quantico (Q), una forza che agisce sulla particella con influenza non-locale. Introducendo questa ‘variabile nascosta non-locale’, Bohm può spiegare le scoperte della fisica quantistica con la stessa sicurezza di Bohr. Le formule che vengono fuori dallo sviluppo matematico di questi concetti danno gli stessi risultati delle formule della MQ classica, cioè, in altri termini, la teoria di Bohm è in grado di prevedere gli stessi risultati della teoria quantistica ortodossa.

Perché le formule sono ignorate? La risposta di un noto fisico della corrente ‘taci e calcola’ è questa: “Bohm tira in ballo un certo ‘potenziale quantico’, una funzione che cambia istantaneamente quando cambiano le proprietà dell’esperimento. E’ un concetto alquanto strampalato che fa venire il mal di testa a forza di calcoli” (Chad Orzel). Non capisco perché Orzel si meravigli del fatto che cambiando le condizioni sperimentali, istantaneamente, il potenziale quantico cambi anch’esso. Vista l’inseparabilità tra osservatore, strumento di misura e particella sotto osservazione, mi sembra evidente che ci deve essere un qualcosa che cambia quando sono cambiate le proprietà di un esperimento. Il potenziale quantico fa proprio questo: nel prevedere i risultati dell’esperimento, rende conto del contesto generale e delle sue variazioni nel tempo. Che le formule di Bohm siano più difficili di quelle della MQ classica è un dato di fatto, ma ciò non significa che la teoria sia sbagliata. In pratica non può essere falsificata. A Oppenheimer, estimatore e sponsor del giovane studioso David Bohm a Berkeley, l’interpretazione causale/ontologica del suo ex-allievo non piace per niente. Non trovando argomenti per bocciarla, discorrendo con altri fisici della corrente di Copenaghen, ebbe a dire: “Se non riusciamo a dimostrare che la teoria è sbagliata, dobbiamo semplicemente ignorarla”. Suggerimento che venne preso alla lettera.

Bohm ricorre spesso alla similitudine con il moto browniano per spiegare da dove nasce e come si manifesta il potenziale quantico. Ma cos’è il moto browniano? Nel remoto 1827, il botanico scozzese Robert Brown aveva compiuto alcune straordinarie osservazioni, servendosi di un comune microscopio, riguardo al comportamento di granelli di polline immersi in acqua. Scoprì che essi si muovevano in modo random e turbolento, sembravano quasi dotati di vita propria, e, soprattutto, il loro movimento non aveva alcuna relazione con correnti presenti nell’acqua. Brown non riuscì a spiegare questo comportamento del polline ma il fenomeno del moto browniano non passò nel dimenticatoio. Fu studiato senza successo da molti fisici per tutto il corso dell’Ottocento.

Fino a quando Einstein non pubblica nel 1905 il lavoro: “Über die von der molekularkinetischen Theorie der Wärme geforderte Bewegung von in ruhenden Flüssigkeiten suspendierten Teilchen “ (Sul movimento di piccole particelle sospese in un liquido fermo secondo la teoria molecolare-cinetica del calore). Einstein prova che il movimento random e caotico del polline è determinato dagli urti con le molecole eccitate del liquido che lo circondano. La discussione statistica permette a Einstein di determinare le dimensioni degli atomi e di contare addirittura quanti atomi ci sono in un certo volume.

Prima di questo lavoro, l’atomo è accettato come un utile concetto, ma fra fisici, chimici, biologi e filosofi c’è un acceso dibattito sulla questione se gli atomi sono o non sono entità reali (un po’ come oggi si discute se le particelle sono entità reali). Emblematica la posizione del filosofo Ernst Mach contrario alla realtà dell’atomo perché non poteva concedere l’esistenza di qualcosa che i sensi non toccano e gli occhi non vedono (solo nel 1955 fu possibile ‘vedere’ gli atomi grazie al microscopio ionico a emissione di campo). Il lavoro di Einstein sul moto browniano dimostra che gli atomi sono entità reali e come: sono capaci, infatti, di determinare il movimento del polline nell’acqua. Da questo momento nessuno mette più in dubbio la realtà oggettiva degli atomi. Wilhelm Ostwald, uno dei leader del movimento anti-atomo, ebbe a dire in seguito a Arnold Sommerfeld di essere stato convertito alla fede nella realtà degli atomi dalla spiegazione di Einstein del moto browniano.

Bohm, usando l’analogia con il moto browniano, dice che, come il polline fluttua a causa dell’azione di un più profondo livello atomico, così la fluttuazione rapida e caotica del campo-ψ deriva da un più profondo livello sub-quantico.

Ero ancora a letto e, nel dormiveglia, (… Luna sghignazza sotto i baffi … sì Luna, c’è poco da ridere … mi capitano di queste cose) ho ideato un’immagine che può aiutare a capire, visivamente, la relazione fra livello sub-quantico e livello quantico.

Siamo allo stadio Olimpico e i tifosi sono impegnati nelle coreografie pre-partita. Un gigantesco striscione con i colori della Roma è srotolato dalla sommità della tribuna fino al livello del campo di gioco. Il telo è ben teso sopra la testa di qualche migliaia di tifosi e dalla tribuna opposta appare fermo. A un certo punto, dalla sommità della tribuna, un tifoso lascia andare un pallone sul telo ben teso. Il pallone, mosso dalla forza di gravità rotola verso il basso seguendo una linea retta. Penso che sia facile visualizzare questa immagine. Nell’analogia lo striscione è il campo-ψ, il pallone è la particella mossa dal potenziale classico (V).

Sotto il telone (nel livello sub-quantico), fra i tifosi, ci sono dei buontemponi che a un certo punto aprono le gabbie di un centinaio di pantegane (schifosi ratti di fogna) che si mettono a correre all’impazzata fra le gambe dei tifosi. Il risultato è che alcuni tifosi saltano in piedi, altri si arrampicano sulle spalle del vicino, altri ancora si mettono a correre su e giù per le gradinate. Il telo dello striscione è così sollevato in più punti dai movimenti caotici dei tifosi tanto che dalla tribuna opposta sembra fluttuare in maniera rapida e turbolenta. Se a questo punto lo stesso tifoso di prima lascia cadere un altro pallone dalla sommità del telo, dalla tribuna opposta si vedrà il pallone cadere verso il terreno di gioco non secondo una linea retta ma seguendo una traiettoria random, disordinata e caotica causata dalla fluttuazione del telo. Nell’analogia il telo dello striscione è ancora il campo-ψ; la fluttuazione del telo è la fluttuazione del campo-ψ determinata da un più profondo livello sub-quantico (i tifosi); il pallone che si muove in modo disordinato e random è la particella mossa dal potenziale classico (V) e dal potenziale quantico aggiuntivo (Q) definito dal movimento dei tifosi.

Anche se l’analogia è molto utile a ‘visualizzare’ quello che succede, devi ricordarti che questa, ovviamente, è una semplificazione perchè il campo e la particella si muovono insieme. Visualizzare, poi, il campo-ψ come un telo a due dimensioni è un’altra evidente semplificazione perché la particella è immersa da tutti i lati in un campo tridimensionale.

Abbiamo visto che il campo-ψ fluttua rapidamente e disordinatamente per l’azione del livello sub-quantico. Nella mia analogia l’azione del livello sub-quantico è determinata dai tifosi spaventati dai ratti, nell’ipotesi di Bohm, invece, la perturbazione del campo-ψ, cioè il potenziale quantico (Q), deriva dalle ‘variabili nascoste’ del livello sub-quantico che non sono altro che le ‘informazioni’ sull’ambiente circostante alla particella o background.

Per esempio, la presenza nell’ambiente, di uno strumento di misura o di uno schermo a due fenditure è un’informazione che il livello sub-quantico trasmette al campo- ψ facendolo fluttuare in un modo ben preciso. A questo punto il potenziale quantico (Q) applicato alla particella ‘entra’ nell’energia del potenziale classico (V) e determina, in questo modo, la ‘forma’ del moto della particella. Possiamo quindi dire che la particella, guidata dal potenziale quantico, è ‘informata’ sul mondo circostante e che, quindi, il suo movimento è determinato da cause ( anche se al momento ancora sconosciute).

Propongo un’altra analogia per rendere visivamente l’azione del potenziale classico (V) e del potenziale quantico (Q) sulla particella.

Ho qui un modellino di auto da corsa telecomandata. E’ una bella Ferrari rossa con il suo piccolo motore a scoppio comandata a distanza da un segnale radio inviato dal telecomando. Nella mia analogia, il modellino è la particella, la forza prodotta dal motore equivale al potenziale classico (V), il segnale proveniente dal telecomando è il potenziale quantico (Q).

L’energia che fa correre il modellino non proviene dal telecomando ma dal motore a scoppio in miniatura (potenziale classico)

E’ un’energia ‘senza forma’ molto più intensa della debole energia del segnale ‘in-formato‘ proveniente dal telecomando (potenziale quantico). Quest’ultimo ‘entra’ però nel ricevitore del modellino, viene ‘processato’ e trasmesso ai servo meccanismi di guida che dirigono il movimento dell’auto. Così l’energia ‘senza forma’ del motore prende forma e viene diretta dalle informazioni contenute nell’impulso radio proveniente dal telecomando.

L’analogia con l’interpretazione causale è evidente. Il potenziale quantico (il segnale del telecomando) trasporta ‘informazioni’ ed è potenzialmente attivo ovunque perché la sua influenza non diminuisce con la distanza. Diventa effettivamente attivo solo quando entra nell’energia della particella (la potenza del motore). Questo implica che un elettrone, o qualsiasi altra particella elementare, deve avere una struttura interna complessa almeno comparabile al ricevitore radio del modellino. Questa nozione va contro la tradizione della fisica moderna che presuppone che, man mano che la materia è analizzata in parti sempre più piccole, il suo comportamento diventa sempre più elementare. L’interpretazione causale suggerisce, invece, che la natura è molto più sottile, ingegnosa e strana di quanto generalmente si pensa.

Luna mi ha seguito fin qui con attenzione ma, a questo punto, appare infastidita. Sembra dire “vabbè … la teoria di Bohm è simpatica ma a me sembra sia pura ‘immaginazione intellettuale’ come dicevi tu prima. Cosa c’è di concreto in tutto questo? Per esempio, coma fa Bohm a spiegare l’esperimento della doppia fenditura? E poi cos’è esattamente questo livello sub-quantico?

Cara Luna, parlerò diffusamente del livello sub-quantico nel mio prossimo articolo. Per adesso ti rispondo solo sull’esperimento della doppia fenditura che ho descritto accuratamente del primo capitolo (per rivederlo clicca qui). Per rendere il discorso comprensibile confronto le due interpretazioni dell’esperimento in questione.

Interpretazione di Copenaghen (Bohr):

La potenziale esistenza di un elettrone è rappresentata da un’espressione matematica chiamata funzione d’onda. Investendo lo schermo con due fenditure, la funzione d’onda si scompone in due funzioni d’onda. In assenza di un osservatore niente di oggettivo è ancora presente a livello quantico (ricorda non c’è niente di reale dietro i numeri della funzione d’onda). Oltre le due fenditure, le due funzioni d’onda interferiscono l’una con l’altra creando un fronte d’onda (vedi esempio delle onde del motoscafo). Anche il processo d’interferenza e la creazione del fronte d’onda non corrispondono a niente di reale: sono solo il risultato di elaborazioni matematiche. A questo punto, entra in scena un osservatore che vuole determinare la posizione dell’elettrone. Per fare questo, pone a una certa distanza dallo schermo a due fenditure, una lastra di rilevamento capace di produrre uno scintillio nel punto in cui è colpita dall’elettrone. Secondo questa interpretazione, la funzione d’onda, quando entra in contatto con la lastra di rilevamento, collassa (immagina una nuvola potenziale che si contrae istantaneamente in una punta di spillo reale). L’esistenza potenziale dell’elettrone diventa così esistenza reale e sulla lastra di rilevamento un breve scintillio permette all’osservatore di rilevare la posizione dell’elettrone.

Richard Feynman, uno degli esponenti di spicco della corrente di pensiero dominante, così descrive l’esperimento delle due fenditure: “A phenomenon which is impossible, absolutely impossible, to explain in any classical way ”. Cioè: “Un fenomeno che è impossibile, assolutamente impossibile, spiegare in maniera classica”. Insomma … un inspiegabile grande mistero.

Ancora Feynman: “How does it really work? What machinery is actually producing this thing? Nobody knows any machinery. Nobody can give you a deeper explanation of this phenomenon than I have given”. “Come realmente funziona? Quale meccanismo produce effettivamente questa cosa? Nessuno conosce un qualsiasi meccanismo. Nessuno può dare una spiegazione più profonda di questo fenomeno di quella che ho dato io (secondo l’interpretazione di Copenaghen)”.

Si da il caso che l’interpretazione causale/ontologica di Bohm descriva esattamente il meccanismo invocato da Feynman.

In questo caso, l’elettrone è un oggetto dotato di posizione e velocità. E’ sempre circondato da un altro oggetto, un campo di forza, il campo-ψ, assimilabile a un campo elettromagnetico. Questo campo soddisfa l’equazione di Schroedinger, più o meno come il campo elettromagnetico soddisfa l’equazione di Maxwell. Anche questo campo, quindi, è causalmente determinato. Ricordo che il campo riflette anche le variabili nascoste del livello sub-quantico che determinano in dettaglio le sue oscillazioni e fluttuazioni attorno a un valore medio equivalente a quello ottenuto risolvendo l’equazione di Schroedinger.

Ora, particella e campo vanno a sbattere insieme contro lo schermo a due fenditure. Come ovvio, la particella passa attraverso solo una delle due fenditure; il campo-ψ passa, invece, attraverso ambedue le fenditure. Nell’attraversare le fenditure il campo-ψ si rifrange in modo molto simile a come farebbe qualsiasi altro campo (per esempio, quello elettromagnetico). L’interferenza produce, oltre le fenditure, un potenziale quantico altamente complesso che, in generale, non diminuisce con la distanza.

Come nell’analogia del pallone che non scende diritto sullo striscione ma balza di qua e di la sotto l’effetto delle fluttuazioni del telo, così la particella è deflessa nel suo movimento dal potenziale quantico.

In altre parole, l’informazione contenuta nel potenziale quantico determina la traiettoria della particella e, quindi, l’esito dell’esperimento.

In un campione statistico di casi aventi tutti la stessa funzione d’onda iniziale, la fluttuazione del campo-ψ produce uno schema d’interferenza uguale a quello predetto dall’interpretazione di Copenaghen.

Nella figura sono visualizzate le possibili traiettorie che una particella segue dopo aver attraversato lo schermo a due fenditure. Come puoi vedere, sulla lastra di rilevamento (la banda verticale blu) si forma lo stesso schema d’interferenza previsto dalla MQ classica. In questo caso però, il punto dove la particella impatta sulla lastra è, in linea di principio, determinato da una combinazione di fattori fra cui: la posizione iniziale della particella, la forma iniziale del campo-ψ, la modifica sistematica del campo-ψ dovuto allo schermo con due fenditure, la modifica del campo-ψ generata dal livello sub-quantico.

Confronta quello che diceva prima Feynman a proposito dell’esperimento della doppia fenditura con quello che dice John Bell:

Is it not clear from the smallness of the scintillation on the screen that we have to do with a particle? And is it not clear, from the diffraction and interference patterns, that the motion of the particle is directed by a wave? The causal interpretation showed in detail how the motion of a particle, passing through just one of two holes in the screen, could be influenced by waves propagating through both holes. This idea seems to me so natural and simple that it is a great mystery to me that it was so generally ignored.

“Non è chiaro dal piccolo scintillio sullo schermo che abbiamo a che fare con una particella? E non è chiaro, dalla diffrazione e schemi d’interferenza, che il moto della particella è diretto da un’onda? L’interpretazione causale ha mostrato in dettaglio come il moto di una particella, passando attraverso solo una delle due fenditure dello schermo, può essere influenzata dalle onde che si propagano attraverso entrambi i fori. Questa idea mi sembra così naturale e semplice, che, per me, è un grande mistero che sia stata così generalmente ignorata.”

Luna mi sembra perplessa: “… e il principio d’indeterminazione di Heisenberg? Che fine ha fatto? Come fa l’interpretazione causale di Bohm a convivere con il principio d’indeterminazione?”. Ottima domanda Luna.

Innanzitutto bisogna dire che la causalità di cui parla Bohm agisce nella relazione fra livello sub-quantico e livello quantico. Ritornando alla mia analogia dello stadio, la fluttuazione del campo a livello quantico (lo striscione) è causalmente determinata dalle variabili nascoste del livello sub-quantico (i tifosi spaventati). In nessun modo bisogna intendere il ripristino della causalità come il ritorno al determinismo a livello quantico. A questo livello, che è quello a noi accessibile con gli esperimenti quantistici, il principio d’indeterminazione rimane perfettamente valido. Siccome il campo- ψ, come abbiamo visto prima, fluttua rapidissimamente non è possibile cogliere la sua forma in un determinato istante. Possiamo solo calcolare le variazioni medie del campo su una piccola regione di spazio e di tempo e, implicitamente, introdurre una certa deviazione fra il valore medio calcolato (sull’arco di tempo ԏ) e il valore reale (all’istante t). La deviazione in questione corrisponde in tutto e per tutto al principio d’indeterminazione di Heisenberg.

Ma l’affascinante costruzione teorica di Bohm non finisce qui. La sua mente, liberata dagli stretti vincoli del pensiero scientifico dominante, si spinge a esplorare intuitivamente il mondo che sta sotto la realtà fisica che noi percepiamo. Di questo parlerò nel mio prossimo articolo. Vedrai che è impossibile non restare conquistati dalla profondità con cui David Bohm ha costruito una visione del mondo del tutto nuova, consistente al suo interno, logicamente potente al punto da spiegare fenomeni molto diversi. Una visione che intuitivamente moltissimi trovano talmente splendida da pensare: “Che se anche l’Universo non è così come lo descrive Bohm – sarebbe meglio se lo fosse”. (John P. Briggs e David Peat)

Luigi Di Bianco

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