L’ordine esplicato

Meccanica quantistica … per stupidi (9). La lente, l’ologramma e l’ordine esplicato.

Questa è la nona e ultima puntata della mia serie “Meccanica Quantistica … per stupidi”. Luna ti saluta con un po’ di tristezza negli occhi e nel cuore.

Per la verità quest’articolo e quello precedente non dovrebbero far parte della serie sulla Meccanica Quantistica. L’ordine implicato di Bohm ha più a che fare con la metafisica e la filosofia che con la fisica. Devo ammettere quindi che il riferimento alla meccanica quantistica nei titoli dei miei due ultimi articoli non è appropriato.

Ho deciso comunque di metterli in coda alla serie sulla MQ per mostrare che l’intuizione dei grandi visionari, l’Uno eterno o Totalità indivisa, trova conferma nella fisica moderna e sembra scaturire, come conseguenza naturale, dalla Meccanica Quantistica.

Nel mio precedente articolo, per vederlo clicca qui, ho proposto la distinzione di Bohm tra un ordine ‘esplicato’ (il mondo degli oggetti-eventi separati nello spazio-tempo di cui i nostri sensi fanno esperienza) e un ordine ‘implicato’, sostanzialmente nascosto in un tutt’uno indiviso.

La griglia di eventi spazio-temporali dell’ordine esplicato descritta dall’ordine Cartesiano è appropriata per la fisica Newtoniana nella quale l’universo è diviso in oggetti separati, ma è inadeguata a riflettere l’indivisibile interezza dell’ordine implicato che sembra venire fuori dalla Meccanica Quantistica e dalla Teoria della Relatività.

La soluzione di Bohm è quella di contrastare l’ordine ‘esplicato’ che noi percepiamo e la Fisica descrive (l’ordine di oggetti-eventi spazio-temporali) con l’ordine ‘implicato’ uno strato sottostante nascosto di relazioni. L’ordine esplicato non sarebbe altro che una manifestazione dell’ordine implicato. Spazio e tempo, per esempio, sarebbero ‘forme’ nell’ordine esplicato che derivano dall’ordine implicato.

Per ’vedere’ intuitivamente il rapporto fra ’ordine implicato’ e ‘ordine esplicato’, nella puntata precedente ho presentato le analogie dell’origami, dell’acquario e della glicerina. Come tutte le analogie, anche queste possono prestare il fianco a fraintendimenti o, addirittura, essere fuorvianti. L’aspetto più sfuggente, quello che più di ogni altro può pregiudicare la comprensione delle analogie, è quello del movimento e dello scorrere del tempo.

Nell’analogia dell’origami, il fiore si srotola nel tempo, in quella della glicerina, la macchia d’inchiostro si ricompone nel tempo. Questo è perfettamente in sintonia con quanto sperimentiamo in ogni attimo della nostra vita: tutto si muove, si trasforma e diviene nel tempo che scorre. Ecco … dobbiamo abbandonare questa convinzione o, meglio, occorre riconoscere che il tempo che scorre è una caratteristica dell’ordine esplicato che percepiamo con i nostri sensi, ma non è una proprietà dell’ordine implicato nel substrato o Sostanza.

Luna mi guarda con sguardo di sfida come per dire “Ok, io non sono certo una gattina stupida, quindi, se mi spieghi cosa significa che il tempo non scorre, certamente riuscirò a capire … o no?”. OK, va bene, Luna … ci provo.

Immagina di poter fare una fotografia istantanea a tutto l’universo. Nella foto, l’universo avrà una precisa sistemazione di tutte le sue parti: la Terra sarà in una certa posizione rispetto al Sole … Venere, Giove, le stelle, le galassie … tutti avranno un loro posto preciso nello spazio. Anche tu, cara Luna, sarai immortalata nell’istantanea sistemata di lato al monitor del computer con i tuoi occhietti intelligenti. Ora prendi la foto e appendila a un filo per stendere il bucato. Dopo un minuto scatta un’altra istantanea. Otterrai una foto leggermente diversa dalla prima perché, in quel minuto, molte cose nell’universo si saranno mosse in qualche modo. Anche tu, nella foto, non sei più esattamente dove stavi prima perché ti sei spostata, anche se di poco. Appendi questa seconda foto sul filo dei panni a 20 cm dalla prima.

Allo stesso modo scatta un’altra decina di foto istantanee, uno ogni minuto, e appendile al filo dei panni distanziate di 20 cm l’una dall’altra.

Riesci ora a vedere con l’immaginazione le foto appese ordinatamente al filo distanziate 20 cm una dall’altra? Per la maggior parte della gente, e anche per te cara Luna, il tempo è qualcosa come il filo dei panni del bucato. Ora io ti dico che il filo non serve, o meglio, serve solo alla nostra coscienza per ordinare gli eventi. Ad un livello fondamentale, il filo dei panni non serve assolutamente a niente perché l’universo non ha una struttura di questo tipo. Secondo la Teoria della Relatività non è possibile definire un istante simultaneo ‘assoluto’ che vada bene per tutti: quello che c’è nella tua istantanea può non esserci nell’istantanea scattata da un altro osservatore. Secondo la Meccanica Quantistica, non c’è un filo dei panni, non c’è nessuna linea del tempo, ma ci sono istanti individuali di tempo ed essi sono come le istantanee dell’universo: sono appunto quella che è la forma dell’universo in ogni dato istante.

Se non c’è più il filo dei panni puoi immaginare che le foto sono cadute per terra e si sono ammucchiate una sull’altra o, meglio, si sono compenetrate una nell’altra in un oggetto multidimensionale ma di dimensione zero nel nostro spazio tridimensionale. Tornando alla realtà dell’Universo, puoi immaginare gli infiniti eventi che si sono succeduti nel passato e che seguiranno nel futuro della storia del mondo come collassati in un’entità multidimensionale: l’Undivided Wholeness, cioè una ‘Totalità Indivisa’ governata da un ordine che non è quello a noi familiare di spazio e di tempo.

E’ evidente che la Totalità Indivisa comporta un diverso tipo di ordine rispetto all’ordine di spazio e tempo cui siamo abituati. Non abbiamo più a che fare con un ordine definito da una certa sistemazione di oggetti nello spazio e da una regolare successione di eventi nel tempo. Piuttosto bisogna ragionare in termini di un ‘ordine totale’ che permea il tutto e che è contenuto in ogni regione di spazio.

Tornando all’ordine implicato di Bohm occorre a questo punto affrontare un concetto nuovo e sorprendente: la parte contiene il tutto o, meglio, le informazioni sull’intero universo sono contenute in ciascuna delle sue parti.

Quest’affermazione è così audace che viene subito voglia di liquidarla come destituita di ogni fondamento. Luna, infatti, che fin qui mi ha seguito con attenzione, a questo punto sbadiglia ostentatamente e si dirige, senza proferir parola, annoiata o forse schifata, verso la scodella dei croccantini. Non fare come Luna, continua a leggere, vedrai che l’analogia dell’ologramma che mi appresto a proporti chiarirà molte cose.

Prima però devo dire qualcosa sulla luce e sulla sua interazione con l’occhio e il cervello.

Se io guardo un oggetto come il busto di marmo di Giulio Cesare, il mio occhio percepisce un fascio di raggi di luce che, generato da una sorgente S (che può essere il Sole o una lampadina accesa) rimbalza sulla superficie del marmo e viene riflesso verso il mio occhio. Tutto semplice fin qui.

Le cose diventano più complicate se vado ad analizzare in dettaglio cosa succede quando ogni singolo raggio di luce impatta la superficie del marmo. Per esempio, la struttura illuminata, cioè il busto di marmo di Giulio Cesare, ha la superficie esterna definita da un’infinità di forme geometriche, di sporgenze e rientranze … ecc, che modificano i raggi di luce provenienti dal Sole. In che modo?

Bisogna innanzitutto ricordare che i raggi di luce sono, in effetti, onde e, precisamente, onde elettromagnetiche. Come tutte le onde, anche le onde elettromagnetiche hanno una certa frequenza e una certa ampiezza. Che cosa succede a un’onda elettromagnetica che colpisce un oggetto come il busto di Giulio Cesare? Per quanto riguarda la frequenza, l’interazione tra frequenza della luce e superficie del materiale dell’oggetto illuminato determina il colore che io percepisco nel mio cervello. Ma questo non ha molta rilevanza nel nostro discorso. Più importante è quello che succede per l’ampiezza dell’onda. A causa delle irregolarità sulla superficie irregolare della struttura illuminata (per esempio, la sporgenza del naso o la rientranza delle orbite oculari) le onde elettromagnetiche rimbalzano in modo disordinato e asimmetrico, vanno a interferire una con l’altra, e creano un multiforme schema d’interferenza. Se vuoi approfondire il concetto di schema di interferenza leggi il mio articolo Meccanica quantistica … per stupidi (1). L’esperimento della doppia fenditura.

Ora, il fronte d’onda che colpisce il mio occhio è costituito da uno schema d’interferenza molto complesso determinato dalla geometria della struttura illuminata. In pratica, il fronte d’onda che attraversa il piccolo foro della mia pupilla contiene le ‘informazioni’, sotto forma di onde elettromagnetiche perturbate, sulla struttura illuminata. All’interno dell’occhio, sulla retina, ci sono cellule sensibili alle onde luminose. Qui le ‘informazioni’ contenute nel fronte d’onda sono interpretate e trasformate in segnali elettrici che attraverso il nervo ottico arrivano al cervello. L’interpretazione finale delle ‘informazioni’ avviene nel cervello coinvolgendo un numero impressionante di neuroni e sinapsi. Il risultato è strabiliante: un’immagine della struttura illuminata originale prende forma nella mia coscienza. Io vedo il busto di Giulio Cesare. Non so a te, ma il banale processo di vedere qualcosa a me pare strabiliante. Siccome l’interpretazione finale dei dati avviene nel nostro cervello, non è per caso che ‘là fuori’ non ci sia niente di reale ma solo onde e schemi d’interferenza?

Meglio non approfondire e tornare al movimento della luce nello spazio. Fin qui abbiamo analizzato solo le onde elettromagnetiche che provengono dalla struttura illuminata, il busto di Giulio Cesare. Ma questo è solo una piccola parte delle onde che attraversano la mia pupilla. In effetti, il fronte d’onda che giunge all’interno del mio bulbo oculare dopo aver attraversato il piccolo foro al centro dell’iride, contiene informazioni su tutto l’ambiente illuminato.

Considera ora il movimento della luce nello spazio, a prescindere dall’organo della vista. E’ facile allora immaginare tutto lo spazio pervaso da onde elettromagnetiche. Puoi raffigurarti le stelle, i pianeti e tutti gli oggetti, immersi in un mare infinito di ‘gelatina’ vibrante nei modi più disparati. La gelatina non è altro che il campo elettromagnetico continuo che si espande in tutto l’Universo. La vibrazione delle onde del campo non è casuale ma riflette l’ordine e la misura di una struttura illuminata che non è più il busto di Giulio Cesare ma che copre tutto l’Universo e tutto il tempo.

Che c’entra il tempo adesso? … mi chiederebbe Luna se non fosse andata via sdegnata poco tempo fa. Immagina il fronte d’onda che giunge al mio occhio mentre guardo il cielo in una notte stellata. Il movimento della luce, in questo caso, trasporta informazioni che coprono porzioni immense di spazio e tempo. La luce che mi arriva da una stella contiene informazioni relative a milioni di anni luce nel passato. Ho scritto la ‘luce mi arriva’ … ma non è propriamente corretto. Rispetto a me sulla Terra, o rispetto a qualsiasi sistema inerziale, la luce arriva da qualche parte e va da qualche altra parte a velocità spaventosa, ma considerando la luce in sé, essa non va da nessuna parte: alla velocità della luce non c’è alcun posto dove andare perché non esiste né lo spazio né il tempo. Infatti, alla velocità di 360.000 km/sec, le distanze si accorciano fino a diventare zero e il tempo si ferma.

Ma torniamo con i piedi per terra e analizziamo lo schema d’interferenza proveniente dal busto di Giulio Cesare. Mi chiedo: possiamo fermare il movimento della luce e registrare la configurazione dello schema d’interferenza in un dato momento? Certo che sì. Basta avere una macchina fotografica.

In questo caso ho a disposizione una vecchia macchina fotografica con la tradizionale pellicola fotografica, il classico rullino. Quando scatto la foto, la luce proveniente dal busto di marmo impressiona la pellicola lasciando una traccia permanente dell’immagine di Giulio Cesare in negativo.

Tutto molto ovvio … ma ci sono alcuni aspetti che ti voglio far notare.

Primo: sulla pellicola è registrata un’immagine facilmente riconoscibile, anche se in negativo, del busto di Giulio Cesare. Secondo: ciascun punto sulla pellicola corrisponde a un punto sulla struttura illuminata. Per esempio, la punta del naso sulla pellicola, punto N, corrisponde alla punta del naso del busto, punto M; la punta dell’orecchio sinistro sulla pellicola, punto P, corrisponde alla punta dell’orecchio sinistro del busto, punto Q. In pratica, fra l’immagine registrata e la struttura illuminata c’è un rapporto di uno a uno.

Tutto questo grazie all’elemento ottico della macchina fotografica: la ‘lente’.

Una proprietà caratteristica delle lenti è di formare un’immagine nella quale, a un punto dato Q nell’oggetto, corrisponde un punto P nell’immagine.

Mettendo in risalto la corrispondenza tra oggetto e immagine, la lente ha notevolmente rafforzato la propensione alla scomposizione degli oggetti in parti e all’analisi delle relazioni tra queste parti. In questo modo è stata incoraggiata la tendenza a ragionare in termini di analisi e sintesi anche per oggetti che erano troppo lontani, troppo grossi o troppo piccoli per essere analizzati solo con la vista naturale. Grazie alla lente, la fisica classica ha sempre ritenuto che la scomposizione in parti, e la conseguente analisi e sintesi delle proprietà e delle relazioni, fosse applicabile in tutti i contesti indipendentemente da quanto a fondo si spingesse la ricerca.

Fino a quando la Meccanica Quantistica non ha raggiunto un livello della natura, il livello subatomico, in cui l’analisi di parti ben definite e distinte non porta da nessuna parte. A livello subatomico non è più possibile scomporre e analizzare le parti perché tutto è interconnesso in maniera irrevocabile in una totalità indivisa e indivisibile.

Se la lente ci aiuta capire i metodi di analisi e sintesi delle parti separate di un oggetto, esiste uno strumento che può darci un’intuizione immediata della totalità indivisa? Bohm dice che questo strumento è l’ologramma.

Ho visto molti anni fa alcuni ologrammi in un museo di Amsterdam. Ricordo di essere rimasto affascinato dalle strabilianti immagini tridimensionali sospese a mezz’aria. Com’è possibile far apparire un oggetto illusorio tridimensionale sospeso nel vuoto? … mi sono chiesto a quel tempo. Oggi, leggendo Bohm, ho capito cosa c’è dietro un ologramma. La teoria matematica alla base dell’ologramma fu sviluppata inizialmente negli anni Quaranta da un premio Nobel, il fisico Dennis Gabor. A quel tempo gli ologrammi non potevano essere costruiti e bisognò aspettare per questo l’invenzione del laser venti anni dopo.

Un ologramma è creato mediante una sorta di fotografia senza lenti. E’ necessario un laser che crea una luce coerente con onde della stessa frequenza, viaggianti in fase e nella stessa direzione.

Questa luce, prodotta, come detto prima, da un laser, colpisce uno specchio argentato semiriflettente che permette a una parte della luce di passare direttamente in direzione di una lastra fotografica. L’altra parte del fascio di luce è riflessa dallo specchio semiriflettente e va a illuminare il busto di Giulio Cesare.

La luce rimbalza sulla superficie della struttura illuminata, e, come visto prima, a causa delle irregolarità di superficie, crea uno schema d’interferenza che è riflesso verso la lastra fotografica.

Nel suo movimento, il raggio oggetto, quello riflesso dalla struttura illuminata, incontra il raggio di riferimento, cioè il fascio di luce che arriva direttamente alla lastra attraverso lo specchio semiriflettente. Incontrandosi, le onde frontali dei due raggi interferiscono fra loro creando uno schema d’interferenza molto complesso che va a impressionare la lastra fotografica. Quello che è registrato sulla lastra fotografica è l’ologramma.

Se vado a vedere a occhio nudo cosa è stato registrato sulla lastra fotografica così impressionata non riesco a distinguere niente d’intellegibile. Diversamente da un negativo fotografico o da una diapositiva, nessuna immagine è visibile sulla lastra olografica sviluppata. Lo schema d’interferenza registrato sulla lastra appare come un disordinato intrigo di linee senza senso. Anche guardando attentamente, non si scorge alcuna traccia del volto di Giulio Cesare. Ciò nonostante quello che è registrato sulla lastra deve ovviamente contenere le informazioni sulla struttura illuminata. Ma dove?

Evidentemente la codifica dello schema d’interferenza non rispetta i criteri di misura e distanze. Non c’è alcun punto P sulla lastra che corrisponde al punto Q del busto di Giulio Cesare. Ciò nonostante l’ordine e le dimensioni della struttura illuminata esistono da qualche parte sulla lastra, anche se sono ben nascoste.

Infatti, se il fascio di luce coerente di un raggio laser investe la lastra, io, che mi trovo sul lato opposto rispetto alla sorgente di luce, vedo una sbalorditiva ‘immagine’ tridimensionale del busto di Giulio Cesare sospesa nel vuoto. L’occhio che ho messo in figura 6 non è il mio occhio. Ci tengo a precisarlo nel caso ti venga di pensare che io abbia l’abitudine di truccarmi gli occhi.

La tridimensionalità dell’immagine sospesa nel vuoto non è l’unica caratteristica sorprendente degli ologrammi. Ancora più sorprendente è il fatto che se la lastra fotografica è tagliata in un certo numero di pezzetti, ciascun pezzetto, se illuminato da una luce coerente, crea un’immagine completa del busto di Giulio Cesare. Più piccolo è il frammento, meno definita è l’immagine del busto, ma ciò non toglie che le informazioni su tutta la struttura illuminata siano presenti in ogni singolo frammento. In effetti, ogni parte della lastra impressionata olograficamente contiene l’informazione dell’intera lastra!

Appare chiaro adesso il significato dell’espressione ‘la parte contiene il tutto’ e la sua generalizzazione ‘le informazioni sull’intero universo sono contenute in ciascuna delle sue parti.’

Il frammento di lastra olografica e l’immagine che genera sono un esempio di ordine implicato e ordine esplicato. Il pezzetto di lastra è un ordine implicato, nascosto, perché l’immagine codificata nello schema d’interferenza impresso su di esso è una totalità nascosta su una piccola superficie. L’immagine che emerge successivamente è un ordine esplicato, rivelato, perché rappresenta la versione scoperta e percettibile del codice nascosto nell’ordine implicato.

Considera anche un’altra cosa: dire che ogni parte della lastra olografica contiene l’informazione della lastra intera è un modo diverso di dire che l’informazione stessa è distribuita in modo non-locale. La forma del naso di Giulio Cesare non è codificata ‘localmente’ in una certa regione della lastra, ma si trova in ogni possibile regione della lastra. In effetti, tutta l’immagine del busto di Giulio Cesare è codificata in ogni porzione di lastra per quanto piccola essa possa essere. In questa prospettiva, l’oscuro principio della ‘non-località’ della Meccanica Quantistica può essere compreso intuitivamente nella sua sconvolgente … novità.

Bohm dice che ogni cosa nell’Universo è parte di un continuum e che, in definitiva, persino i due ordini, implicato ed esplicato, affondano, si confondono e si compenetrano uno nell’altro. Ciò non significa che l’Universo sia una gigantesca massa indifferenziata.

Gli oggetti possono essere parte di un Tutto indiviso eppure essere percepiti dai nostri sensi ciascuno con qualità e attributi ben definiti. Per esempio, pensa ai mulinelli e ai vortici che si creano sulla superficie di un corso d’acqua che scorre lentamente. A prima vista possono sembrare oggetti distinti ciascuno con caratteristiche proprie come forma, dimensione, posizione, velocità di rotazione, ecc. A pensarci bene, però, tutto è acqua. Mentre osservi il movimento dell’acqua puoi notare che qualche mulinello svanisce, … più in la, un piccolo vortice appare. I vortici e i mulinelli sono forme relativamente stabili che appaiano sulla superficie dell’acqua, l’ordine esplicato, e poi scompaiono per tornare nell’ordine implicato. Le molecole di acqua non sono create quando appare un vortice, né sono distrutte quando il vortice scompare, semplicemente passano dall’ordine esplicato all’ordine implicato e viceversa pur rimanendo ‘eternamente’ parte dell’ordine totale.

Se ci pensi bene, anche noi siamo come evanescenti vortici che appaiano e scompaiono. Anche qui ci troviamo in perfetta sintonia con Spinoza: nonostante la morte della nostra forma esplicata, la nostra essenza è ‘eternamente’ implicata nella Sostanza. E in sintonia anche con il filosofo E. Severino: “Ogni cosa che ha la proprietà di essere ha, per la stessa natura dell’essere, la proprietà di essere eterna“.

Ma a parte la sua profondità filosofica, il concetto di Totalità indivisa può essere utile a far germogliare una nuova etica sociale. Se la separazione dell’umanità in razze, nazioni, gruppi politici, economici, religiosi è solo una costruzione mentale illusoria, se invece tutto è uno, che senso hanno guerre, persecuzioni in nome di Dio, pulizie etniche, odio razzista, terrorismo? Se gli altri non sono ‘altro’ da me, la sopraffazione, l’antagonismo, la violenza fisica e verbale, l’odio reciproco, l’invidia, la gelosia che regnano sovrani nei rapporti umani non hanno più ragione di essere. Se siamo veramente convinti che non siamo ‘altro’ rispetto alla natura, al regno vegetale e animale, è facile rispettare e amare la natura, gli animali, le piante e il paesaggio naturale.

Luigi Di Bianco

ldibianco45@gmail.com