Semplicemente … la Teoria della Relatività Generale (1)

Dopo la pubblicazione e l’affermazione nel mondo scientifico della teoria della relatività ristretta, forse ti immagini un Einstein soddisfatto dei risultati raggiunti seduto in poltrona a godersi il meritato successo.
Non potremmo dargli torto: la relatività ristretta era di per sé sufficiente a regalargli una fama universale ed eterna come nessun fisico aveva avuto nel passato e avrà mai nel futuro. Ma Einstein era profondamente insoddisfatto del risultato raggiunto.
Il motivo?
La Teoria della Relatività Ristretta, unificando le leggi della meccanica e quelle dell’elettrodinamica, aveva introdotto il concetto che “le leggi della fisica valgono per tutti i sistemi inerziali”. Essa aveva proclamato la democrazia dei punti di vista: le leggi della fisica appaiono identiche a tutti gli osservatori in moto uniforme. E’ però una democrazia con dei limiti perché esclude un gran numero di situazioni: quelle in cui il moto è accelerato. Il cruccio che tormentava Einstein, negli anni immediatamente dopo il 1905, era il fatto che i sistemi dotati di moto accelerato non rientrassero nella generalizzazione della relatività ristretta.
Forse è bene ricordare che è considerato inerziale il sistema che si muove di moto rettilineo uniforme e che quindi non accelera e non ruota rispetto a un sistema fermo. Più semplicemente possiamo dire che un sistema inerziale si muove, rispetto a un sistema fermo, con velocità costante lungo una linea retta. Per esempio, un treno che viaggia sui binari perfettamente diritti a velocità costante può essere considerato un sistema inerziale rispetto al sistema fermo o stazionario, cioè il terreno.
Ora la teoria della relatività ristretta aveva unificato le leggi fisiche dei sistemi inerziali ma non quelle dei sistemi non inerziali, cioè in moto non uniforme.
Sempre convinto, da un punto di vista ontologico, dell’armonia universale della natura, Einstein non poteva accettare che sistemi in stato di moto NON uniforme, come quello prodotto da un’accelerazione, dovessero essere distinti da quelli con moto uniforme. In altre parole, non gli piaceva che la relatività ristretta fosse valida solo per un sistema che si muove di moto rettilineo e uniforme e non fosse valida per un sistema accelerato. Dopo aver unificato le leggi della meccanica e dell’elettromagnetismo, non poteva ora fermarsi e accettare l’incompatibilità o separatezza fra sistemi inerziali e sistemi accelerati.
Poco tempo dopo la pubblicazione della relatività ristretta Einstein cominciò a pensare a come estendere i suoi concetti ai sistemi in stato di moto non uniforme in una nuova teoria dove “le leggi della natura fossero uguali per tutti i sistemi senza riguardo al loro stato di moto”, uniforme o accelerato che fosse.
Ma, oltre all’esigenza di unificare le leggi fisiche per tutti gli stati di moto, un altro cruccio assillava Einstein.
La relatività ristretta aveva creato anche un problema di compatibilità con la teoria della gravità di Newton. Giocherellare con tempo e spazio per rispettare il principio d’invarianza della velocità della luce non poteva non creare conflitti con teorie preesistenti come la venerabile teoria della gravitazione universale di Newton.
Il limite massimo di 300.000 km/s posto alla velocità della luce è una caratteristica fondamentale della relatività ristretta. Questo limite non è solo riferito agli oggetti materiali ma anche a segnali e influssi di varia natura. Non è possibile, secondo la relatività ristretta, comunicare informazioni da un punto all’altro dello spazio a velocità superiori a quella della luce. Per contro, nella teoria newtoniana, la forza gravitazionale esercitata da un corpo su un altro ha un effetto a distanza immediato. Sembrerebbe quindi che la forza di gravitazione sia in grado di viaggiare a una velocità superiore a quella della luce. Per esempio, una variazione nella massa del Sole, secondo la legge di gravitazione di Newton, eserciterebbe ‘immediatamente’ i suoi effetti sulla Terra. Secondo la relatività ristretta, invece, il viaggio dal Sole alla Terra di un’informazione non può impiegare meno di 8 minuti (il tempo che impiega la luce per giungere dal Sole alla Terra).
Accettare la teoria gravitazionale newtoniana avrebbe avuto il significato, per Einstein, di rinnegare la sua teoria della relatività ristretta. Per contro, la legge di gravità di Newton, risalente alla fine del seicento, era una teoria consolidata da secoli di conferme sperimentali. Dalla legge di gravità si possono dedurre, ancora oggi, i moti dei pianeti e delle comete intorno al Sole, della Luna intorno alla Terra, così come la traiettoria di una palla di cannone o di un atleta che fa il salto in lungo.
Ci voleva un bel po’ di coraggio per mettersi a sfidare Newton!
Ma Einstein era troppo sicuro della verità delle sue scoperte e si mise all’opera per demolire la teoria di Newton. Dopo un decennio di studi intensi e tormentosi, Einstein, con la sua Teoria della Relatività Generale dimostrò che la gravitazione newtoniana era ‘subdolamente’ errata e riformulò l’idea stessa di gravità in modo perfettamente compatibile con la relatività ristretta.
Procediamo per piccoli passi.
Nel nostro viaggio verso la relatività generale occorre partire da lontano e rivisitare alcuni concetti fondamentali della dinamica. Secondo me è necessario dare uno sguardo: (1) al fenomeno del moto; (2) al principio d’inerzia o prima legge di Newton; (3) al principio della variazione di moto o seconda legge di Newton; e, infine, (4) alla legge di gravitazione universale, sempre di Newton.
Non ti far spaventare dai paroloni della terminologia scientifica: sono cose comprensibili intuitivamente che cercherò di trattare con semplici esempi, facendo ricorso alla matematica solo per alcune formule da scuola media.
(1) Cominciamo con il moto.
Il moto è relativo. Non ha senso dire che un corpo si muove a una certa velocità se non si dice anche rispetto a che cosa si muove. Stelle, pianeti e galassie cambiano continuamente posizione ma i loro moti sono osservabili solo uno rispetto all’altro. Se tutti i corpi celesti fossero rimossi dall’universo eccetto uno, nessuno potrebbe dire se quest’unico corpo celeste sia fermo o in movimento attraverso lo spazio vuoto.
Tonino sta fluttuando nella sua piccola navicella spaziale nel buio assoluto dello spazio cosmico vuoto e freddo. Nessun corpo celeste è in vista: non una stella, non un pianeta, non una cometa. Il buio cosmico è rotto solo dalla piccola luce rossa lampeggiante posta sul tetto della sua navicella. Tonino si sente fermo, solo e smarrito nella vastità cosmica: attraverso l’oblò della navicella non vede assolutamente nulla … solo l’oscurità più profonda. Improvvisamente, nello spazio buio appare in lontananza una piccola luce lampeggiante verde che si avvicina sempre di più. E’ la navicella spaziale di Ciro, un altro abitante dello spazio che fluttua nei paraggi. Ciro, giunto all’altezza di Tonino, saluta con la mano da dietro l’oblò, passa oltre e si perde nell’oscurità.
Questo è quello che sperimenta Tonino.
E Ciro? Cosa ha sperimentato Ciro? Dal suo punto di vista, Ciro può raccontare la stessa storia: la sua navicella è ferma immersa nel buio, quando, in lontananza, appare la luce rossa lampeggiante della navicella di Tonino, che si avvicina, passa e scompare nel buio.
Dello stesso evento ci sono due punti di vista. Entrambi gli osservatori pensano di essere fermi e percepiscono l’altro in movimento. Entrambi possono dire ”io sono fermo e il mio amico si sta muovendo rispetto a me”. Chi ha ragione? Hanno ragione entrambi: non c’è alcun modo per stabilire chi ha ragione e chi ha torto. Questo è il principio di relatività enunciato già da Galileo nel seicento.
Un aspetto importante della storia è che né la navicella di Tonino, né quella di Ciro è spinta, tirata o influenzata da qualcosa che potrebbe disturbare il pacifico stato di moto costante in assenza di forze.
Che cosa sarebbe successo in presenza di forze che alterano il moto costante? Mettiamo che Tonino azioni per un attimo i razzi propulsori dando una bella accelerata alla sua navicella. Anche se tiene gli occhi chiusi e non può fare quindi raffronti con altri oggetti, Tonino avvertirebbe senz’altro la sensazione di moto. E’ una sensazione intrinseca all’accelerazione: Tonino “sa” che si sta muovendo e non può più affermare “io sono fermo e il resto del mondo si sta muovendo rispetto a me”. Il principio di relatività non sembra più applicabile.
Queste semplici osservazioni ci suggeriscono che, mentre il moto a velocità costante è relativo, lo stesso non può dirsi per il cosiddetto moto accelerato, cioè non uniforme. Il moto accelerato si potrebbe a questo punto considerare un moto assoluto in quanto misurabile per sé, senza necessità di riferirlo a un altro sistema fermo.
Per Einstein, che manteneva la sua convinzione che il moto fosse relativo, l’apparente carattere unico del moto non uniforme era molto sconcertante. Egli ragionava “se non esiste lo spazio assoluto e quindi non possiamo misurare velocità assolute, perché dovrebbe essere possibile misurare accelerazioni assolute?”
Questo dilemma tormentò Einstein per anni fino a quando, nel 1907, nella sua mente balenò quello che chiamò “il pensiero più felice della mia vita”, che vedremo più avanti.
(2) Passiamo al principio d’inerzia o prima legge di Newton
Newton, nei Principia, dà questa definizione dell’inerzia:
‘La vis insita, o forza innata della materia, è il potere di resistere attraverso il quale ogni corpo, in qualunque condizione si trovi, si sforza di perseverare nel suo stato corrente, sia esso di quiete o di moto lungo una linea retta. […]Un corpo è tolto non senza difficoltà dal suo stato di moto o quiete. Dato ciò, questa vis insita potrebbe essere chiamata in modo più significativo vis inertiae, o forza di inattività.’
Capire questo passo dei Principia non è difficile, basta leggerlo con calma e con un minimo di attenzione. Ma se non hai tempo o voglia di impegnarti, non ti preoccupare … con qualche semplice esempio preso dall’esperienza tutto ti sembrerà semplice.
Newton dice che un corpo ha una sorta di pigrizia o mancanza di volontà a fare cambiamenti. Intuitivamente questo è facilmente comprensibile. Sul mio tavolo ho una sfera verde di alluminio del peso di 1 chilo che proprio in questo momento sta dando dimostrazione della sua pigrizia. Nonostante io la solleciti a viva voce a darsi una mossa, essa continua a rimanere ferma. La sfera testardamente mantiene il suo stato di quiete finché non intervengo con una piccola spinta. Solo così si decide a muoversi di qualche centimetro.
Tutto ovvio fin qui.
Ma Newton dice anche un’altra cosa: afferma che un corpo “si sforza di perseverare nel suo stato corrente”. Cioè, non solo tende a rimanere fermo se è fermo, ma tende anche a continuare a muoversi se si muove. Proviamo con la mia sfera verde. Dò un’altra piccola spinta … la sfera si muove per un po’, rallenta e poi … si ferma. Secondo Newton, invece, la mia sfera, una volta messa in movimento, dovrebbe continuare a muoversi per un tempo indeterminato. Io invece sto sperimentando che, se voglio che la sfera continui a muoversi, devo continuare a spingerla.
Qualcosa non torna!
A questo punto sembra più convincente la nozione Aristotelica di ‘stato naturale’. Secondo Aristotele un corpo permane in movimento finché c’è una forza applicata su di esso. Questo è esattamente quello che io sto sperimentando con la mia sfera.
Ma Newton, e Galileo prima di lui, avevano capito che la teoria aristotelica, seppure apparentemente convincente, era errata perché ignorava completamente le contrastanti forze di attrito (nel mio caso, della superficie del tavolo e dell’atmosfera) che rallentano il movimento dei corpi fino a fermarli.
Galileo, con un esperimento ideale, aveva immaginato il caso limite di un corpo che si muove su un piano orizzontale senza attriti. Un tal esperimento, come faceva rilevare Galileo, non è riproducibile sulla Terra, ove è non possibile eliminare completamente tutti gli attriti. Per questo noi stentiamo ad afferrare il vero senso del principio d’inerzia.
Occorre fare come Galileo e riuscire a immaginare il moto in assenza di attriti. Solo allora possiamo afferrare il concetto che il moto rettilineo uniforme si verifica proprio quando non ci sono forze. In assenza di forze di attrito e di qualsiasi altra forza, un corpo in movimento, come la Terra intorno al Sole, a causa della sua inerzia, mantiene il moto perpetuo a velocità costante in direzione, verso e intensità.
E’ proprio l’inerzia che provoca le nostre sensazioni quando si frena in auto o all’improvviso si accelera o quando si entra in curva.
Per il nostro corpo è necessario continuare il moto uniforme in linea retta e quando l’auto, frenando, imprime su di noi una forza opposta, la proprietà chiamata inerzia tende ad opporsi a tale forza e tendiamo ad andare a sbattere contro il parabrezza.
Riusciamo a percepire, anche a occhi chiusi, un’accelerazione negativa quando ci sentiamo spinti in avanti verso il parabrezza, un’accelerazione positiva quando abbiamo la sensazione di essere spinti contro lo schienale del sedile e, infine, un’accelerazione laterale quando, in curva, si ci sente spinti verso le portiere.
(3) Principio della variazione di moto o seconda legge di Newton
In sostanza, secondo l’intuizione fondamentale di Galileo e Newton, le forze non sono la causa del moto, ma producono una variazione dello stato di moto.
Sul tavolo, di fianco al computer, ho anche una sfera rossa di piombo delle stesse dimensioni di quella verde ma del peso di dieci chili. La osservo e noto che anche questa sfera è affetta da pigrizia congenita. Anzi sembra ancora più pigra della sfera verde. Infatti, per smuoverla dal suo stato di quiete, devo dare una spinta più forte di quella che era necessaria a far muovere la palla verde.
E’ evidente allora che applicando una spinta alcuni corpi si muovono, o meglio, cambiano la loro velocità, più facilmente, altri meno facilmente. A prima vista sembra che questa resistenza al cambiamento sia proporzionale al peso del corpo. Infatti, la mia sfera di 10 chili si smuove più difficilmente di quella di 1 chilo.
Ma il peso non è una proprietà costante di un corpo. Per esempio, le mie sfere nello spazio in assenza di gravità non peserebbero niente. Dobbiamo allora parlare di massa. In termini tecnici, si chiama massa inerziale (mi) la proprietà di un corpo di determinare l’opposizione alle variazioni dello stato di moto. Essa si esprime in chilogrammi e sulla superficie terrestre può essere equiparata al peso. Nel mio esempio, la massa inerziale della sfera rossa è dieci volte più grande di quella della sfera verde.
Finora ho parlato di variazione dello stato di moto ma avrei potuto parlare di accelerazione. La variazione di moto corrisponde infatti a un’accelerazione o decelerazione. Se sei in macchina e cambi velocità e da 80 km/h passi a 120 km/h cosa stai facendo in pratica? Ovvio … stai accelerando. Se all’improvviso freni che fai? Stai decelerando o accelerando negativamente. Come vedi una variazione dello stato di moto corrisponde a un’accelerazione.
Anche se forse non ce ne sarebbe bisogno, apro una piccola parentesi sul concetto di accelerazione.
L’accelerazione è la variazione di velocità positiva o negativa (in questo caso possiamo parlare di decelerazione) nell’unità di tempo. Se la velocità si misura in metri al secondo, m/s, l’accelerazione si misura in m/s², e può essere sia positiva sia negativa.
L’accelerazione media è il rapporto tra la variazione di velocità e l’intervallo di tempo (accelerazione media = variazione di velocità / tempo trascorso). Per esempio, se un’auto parte da ferma, quindi dalla velocità di zero m/s e in 10 secondi raggiunge la velocità di 50 m/s, avrà un’accelerazione media è di 5 m/s² ( 50/10 = 5 ).
Questa è la formula per trovare l’accelerazione media di un corpo se si conosce la variazione di velocità e il tempo di accelerazione. Ma posso prevedere l’accelerazione che subirà un corpo se conosco la forza a esso applicata? Certo, se conosco la massa inerziale del corpo (mi) e la forza applicata (F) posso usare la seconda legge di Newton per trovare l’accelerazione.
Dalla relazione fondamentale della seconda legge di Newton, F = mi * a , si ricava a = F/mi , cioè, detto a parole: “l’accelerazione (a) che subisce il corpo soggetto a una forza è direttamente proporzionale alla forza (F) esercitata sul corpo, ed inversamente proporzionale alla massa inerziale (mi) del corpo stesso”.
In fondo, la seconda legge di Newton è facilmente intuibile. Torniamo all’esempio delle sfere e prendiamo la sfera verde di 1 Kg.
La prima parte della legge di Newton dice che l’accelerazione che provoco con la mia spinta è proporzionale alla forza della spinta. Se esercito una forza di F = 5, essendo la massa inerziale della sfera verde mi = 1, la sua accelerazione sarà di 5 m/s al quadrato (a = F/ mi = 5/1 = 5).
Se invece raddoppio la forza portandola a F = 10, allora l’accelerazione sarà di 10 m/s² (a = F/ mi = 10/1 = 10). Come vedi l’accelerazione raddoppia se raddoppio la forza esercitata. In questo modo abbiamo verificato che “l’accelerazione (a) che subisce il corpo soggetto a una forza è direttamente proporzionale alla forza (F)”.

Nell’animazione 01 ci sono le sfere A e B entrambe con massa inerziale di 1 chilo. (mi = 1) . Le sfere, inizialmente in stato di quiete, iniziano a muoversi per effetto della forza loro applicata. Alla sfera A applico una forza F = 5, quindi la sua accelerazione è di 5 m/s² (a = F / mi = 5/1 = 5). La forza che applico invece alla sfera B è F = 10. La sua accelerazione è doppia, pari a 10 m/s², (a = F / mi = 10/1 = 10), perché, a parità di massa inerziale, subisce una forza doppia.
Faccio ora entrare in gioco anche la sfera rossa di 10 kg e applico la stessa spinta, di forza F = 10, sia alla sfera verde sia a quella rossa. L’accelerazione della sfera verde di alluminio sarà 10 m/s² (a = F / mi = 10/1 = 10) mentre l’accelerazione della sfera rossa di piombo sarà 1 m/s² (a = F / mi = 10/10 = 1).
Applicando la stessa forza a una massa dieci volte più grande, l’accelerazione è dieci volte più piccola. In questo modo abbiamo verificato anche la seconda parte della legge di Newton, cioè che “l’accelerazione (a) che subisce il corpo soggetto a una forza (F) è inversamente proporzionale alla massa inerziale (mi) del corpo stesso”.

Nell’animazione 02 c’è la sfera A con massa inerziale di 1 chilo e la sfera B con massa inerziale di 10 chili. Le sfere sono inizialmente ferme ma cambiano stato di moto per effetto della forza loro applicata. Alla sfera A e alla sfera B applico la stessa forza di valore F = 10. La sfera A parte velocemente con un’accelerazione di 10 m/s² (a= F / mi = 10/1 = 10). La sfera B, con massa inerziale dieci volte più grande, parte con un’accelerazione dieci volte più piccola pari a 1 m/s² (a= F / mi = 10/10 = 1).
Come vedi è tutto molto semplice.
La seconda legge di Newton trova evidenti riscontri nella nostra esperienza quotidiana: generalizza semplicemente il fatto che un oggetto del peso di 1 Kg si può lanciare più lontano e più veloce di quanto si possa fare con un oggetto del peso di 10 kg.
(4) La gravità newtoniana
Esiste però una circostanza speciale nella quale sembra che l’accelerazione di un corpo in movimento non abbia niente a che fare con la sua massa inerziale. La mia sfera verde di alluminio di 1 kg e la mia sfera rossa di piombo di 10 kg raggiungono esattamente la stessa accelerazione quando “cadono”.
Galileo scoprì per primo questo fenomeno provando sperimentalmente che, trascurando la resistenza dell’aria, tutti i corpi cadono con la stessa velocità (una matita e un foglio di carta cadono a velocità diversa solo perché il foglio di carta offre maggiore superficie alla resistenza dell’aria). Questo fenomeno sembra violare la seconda legge di Newton. Come mai due corpi di massa inerziale diversa accelerano nella stessa misura quando cadono in verticale mentre, quando sono proiettati orizzontalmente da una forza uguale, accelerano in misura determinata dalla loro massa inerziale?

Nell’animazione 03 abbiamo la sfera A con massa inerziale di 1 chilo e la sfera B con massa inerziale di 10 chili poggiate su un piano orizzontale. Le sfere, inizialmente ferme, cambiano stato di moto per effetto della forza F = 10 che applico prima alla sfera rossa B e poi a quella verde A. La sfera B parte lentamente con accelerazione di 1 m/s² (a = 10/10) e viene, a un certo punto, raggiunta dalla sfera A che si muove più velocemente con accelerazione di 10 m/s² (a = 10/1). Le sfere giungono nello stesso istante sul bordo del piano orizzontale e cadono in verticale. Dall’animazione si vede che la velocità di caduta della sfera A di 1 Kg e della sfera B di 10 kg è la stessa.
Sembrerebbe che il fattore dell’inerzia agisca solo sul piano orizzontale!
Se sei abbastanza smaliziato, ti sei senz’altro reso conto che l’animazione è imprecisa. Infatti, le due sfere, giunte sul bordo del piano orizzontale, non dovrebbero precipitare in verticale, ma dovrebbero cadere seguendo la traiettoria parabolica determinata dalla loro velocità orizzontale. Ma l’animazione va più che bene per lo scopo che mi ero prefisso: quello di rendere visivamente la peculiarità dell’accelerazione dovuta alla gravità.
Tornando al nostro discorso, sembra quindi che la seconda legge di Newton non sia applicabile per le accelerazioni dovute alla forza di gravità. La soluzione del problema è data da Newton stesso con la sua legge di gravitazione universale.
Secondo questa legge, la gravità è una forza ‘misteriosa’ mediante la quale un corpo materiale (per esempio, la Terra) attira verso di sé un altro corpo materiale (per esempio, la mia sfera rossa). La particolarità di questa forza è che essa è proporzionale alla massa del corpo materiale che viene attratto. Quanto maggiore è la sua massa tanto più forte è la forza di gravità.
Un oggetto che ha una piccola massa inerziale, ovvero una piccola tendenza a resistere al moto (la mia sfera verde) è soggetto a una forza di gravità anch’essa piccola. Per contro, un oggetto con massa inerziale più grande (la mia sfera rossa) subirà una forza di gravità più grande.
In altre parole, questa forza ‘misteriosa’ è instabile: si adatta alla massa dell’oggetto da attrarre in modo tale da vincere esattamente la sua inerzia. Ecco perché la mia sfera verde di 1 Kg e la mia sfera rossa di 10 kg cadono alla stessa velocità senza riguardo alla loro massa inerziale: sono soggette a forze di gravità diverse.
Questa notevole coincidenza, il perfetto equilibrio fra gravità e inerzia, fu accettata come un atto di fede, ma non fu mai compresa, né da Newton, né da altri scienziati dopo di lui. Ciò nonostante, dai concetti newtoniani sono nate tutta la meccanica e l’ingegneria moderna.
Einstein, tre secoli dopo Newton, mise in dubbio che l’equilibrio fra gravità e inerzia fosse una semplice coincidenza. Respinse pure l’idea della gravità come forza che si propaga istantaneamente attraverso grandi distanze. L’idea che la Terra possa agire istantaneamente nello spazio per attrarre un oggetto verso di sé con una forza ‘miracolosa’ uguale alla resistenza d’inerzia di questo oggetto, apparve a Einstein molto improbabile. Questi dubbi portarono Einstein all’elaborazione del concetto di campo gravitazionale in sostituzione della forza di gravità.