Principio di equivalenza

Semplicemente … la Teoria della Relatività Generale (2)

La teoria della relatività ristretta, anche se geniale e rivoluzionaria, aveva lasciato Einstein con l’amaro in bocca.

Egli era profondamente insoddisfatto perché, dal suo punto di vista, nella relatività ristretta c’era un limite, qualcosa di terribilmente incompiuto. La sua teoria non era abbastanza generale, essa si applicava soltanto ai sistemi in moto uniforme, i cosiddetti sistemi inerziali, ma non ai sistemi in moto accelerato. Gli era insopportabile, come ebbe a dire in seguito, che dovesse esserci una fisica per certi tipi di oggetti, cioè per quelli che stanno nei sistemi inerziali, e un’altra fisica per quelli in sistemi accelerati.

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Il dilemma dell’incompatibilità fra moto accelerato e moto uniforme torturò Einstein per anni fino a quando, nel 1907, mentre passeggiava per le vie di Berna, vedendo un imbianchino arrampicato su un’impalcatura mentre tinteggiava una casa, nella sua mente balenò quello che chiamò “il pensiero più felice della mia vita”.

In un manoscritto di Einstein, nel bel mezzo di un articolo estremamente tecnico, c’è una brevissima narrazione di come gli balenò in mente l’intuizione giusta: “Nel 1907, mentre cercavo di generalizzare la teoria della relatività ristretta, mi venne in mente il pensiero più felice della mia vita nella seguente forma. Pensate a una persona che cade dal tetto di una casa, pensateci con tutta calma. Costui sta prendendo delle chiavi, degli oggetti dalla sua tasca, e sta cercando di gettarli via, di lasciarli cadere. Cosa accade? Essi si mettono a fluttuare attorno a lui, senza cadere distanti, benché cadano anch’essi. Così, mentre uno sta cadendo, sperimentalmente, non può trovare campi gravitazionali.”

Quindi egli riflette: se non è possibile distinguere fra gravità e accelerazione forse la gravità ha una certa analogia con l’accelerazione e, se le cose stanno così, il legame tra i vari sistemi, accelerati e non, potrebbe essere proprio questo. Così nasce quello che Einstein chiamò “Principio di equivalenza”: equivalenza, cioè, tra gravità e accelerazione. Forse ne avrai sentito parlare con l’esempio dell’ascensore e simili.

Sull’argomento io ho scritto, sulla traccia di un esempio proposto da Brian Greene nel suo “Universo elegante”, la breve storiella che segue.

I “Redentori”, così si definiscono i membri della setta fondamentalista religiosa “Il settimo squillo di tromba”. Dicono: “Il tempo è vicino” e si preparano alla ‘Gerusalemme Celeste’ dove “non vi sarà più notte e non si avrà più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio illuminerà e regnerà nei secoli dei secoli” (Apocalisse 22,3-5).

Ma gli anni passano … e degli angeli che devono annunciare la fine del mondo con sette squilli di tromba non c’è traccia. Il tempo non sembra essere poi così vicino. I redentori decidono allora di dare una mano al Signore Dio provocando essi stessi la fine del mondo.

A migliaia si sono radunati a Central Park a New York, si sono seduti in cerchio sul prato intorno ad un oggetto misterioso e hanno cominciato a pregare e cantare. Al tramonto del primo giorno, sette trombettieri, “i sette angeli che avevano le sette trombe”, hanno suonato il primo squillo di tromba mentre la folla cantava “Guai, guai, guai agli abitanti della Terra al suono del settimo squillo di tromba” (Apocalisse 8,13).

Le autorità di polizia, in un primo momento, sorvegliano il raduno senza intervenire perché si pensa che si tratti di un convegno di pacifici ecologisti. Le autorità cominciano a preoccuparsi quando a sera, dopo gli squilli di tromba, la folla continua a cantare e pregare … non accenna ad abbandonare Central Park. Squadre di poliziotti sono inviate a sorvegliare Central Park mentre il capo dei redentori, un distinto signore di mezza età, è prelevato e portato nella locale stazione di polizia. Seduto di fronte al capo della polizia, il distinto signore dice di chiamarsi Fire Angel e con estrema pacatezza comincia a esporre il progetto dei redentori. Racconta che l’oggetto misterioso collocato a Central Park è un sofisticato ordigno termonucleare così potente da essere in grado di cancellare, alla detonazione, la vita sulla faccia della Terra. Con voce fredda e impersonale aggiunge che l’ordigno ha un meccanismo a tempo che farà esplodere l’ordigno al tramonto del settimo giorno quando i trombettieri suoneranno il settimo squillo. Poi, alzandosi in piedi, allargando le braccia in alto e assumendo una plastica posa profetica tuona: “Io sono l’angelo del fuoco! Sono colui che è venuto a realizzare la profezia di Giovanni! Il regno del mondo appartiene al Signore nostro e al suo Cristo: egli regnerà nei secoli dei secoli” (Apocalisse 11,15).

Il capo della polizia è allibito, perplesso. Pensa di trovarsi di fronte a un pazzo ma, nel dubbio, decide di far intervenire una squadra di artificieri per verificare cosa sia, in effetti, l’oggetto misterioso a Central Park. Un sommario esame dell’oggetto fatto durante la notte stessa non chiarisce niente: gli artificieri si trovano di fronte a un congegno elettronico dall’aspetto molto tecnologico del peso di circa 50 chilogrammi. Il capo della polizia a questo punto si mette in contatto con il ‘Mayor’, il sindaco, di New York. Insieme decidono di allertare il Pentagono.

Alle prime luci dell’alba tre elicotteri pesanti del tipo Chinook atterrano a Central Park. I redentori sistemati in cerchio intorno all’oggetto misterioso si spostano disciplinatamente per cedere il passo ai militari. I pacifici redentori cantano le lodi del Signore mentre osservano i militari prelevare l’ordigno e caricarlo su uno degli elicotteri. Dopo poche ore l’ordigno arriva in un laboratorio nucleare segreto nel deserto White Sands in New Mexico. Ingegneri e scienziati nucleari, prelevati dalle loro abitazioni durante la notte e portati in New Mexico con aerei militari, sono già in attesa nel laboratorio nucleare. E’ subito evidente che, purtroppo, l’oggetto misterioso è, in effetti, una bomba termonucleare d’incredibile potenza gestito da un minuscolo e sofisticato computer.

Gli scienziati riescono senza problemi a scaricare il codice del programma registrato nel computer e, analizzando l’algoritmo, capiscono che è impossibile disattivare la bomba: qualsiasi tentativo di manomissione la farebbe esplodere. Scoprono anche un’altra cosa che li lascia perplessi: l’ordigno è poggiato su una sofisticata bilancia digitale. Non solo, il valore di peso dell’ordigno viene continuamente monitorato da un algoritmo del computer: se il peso della bomba dovesse variare di più del 50%, il computer attiverebbe l’impulso detonante.

Il rapporto degli esperti nucleari turba profondamente il Presidente degli Stati Uniti. La sua prima decisione è di convocare con urgenza, per il giorno dopo, una conferenza internazionale dei Capi di Stato delle principali nazioni della Terra.

Al tramonto del secondo giorno, i sette trombettieri a Central Park si apprestano a suonare il secondo squillo quando sono arrestati e portati in carcere. I pacifici redentori invece vengono confinati a Ellis Island dove, imperterriti, continuano a cantare le lodi al Signore.

E’ il pomeriggio del terzo giorno quando ha inizio la conferenza internazionale. Intorno al tavolo, oltre ai Capi di Stato, siedono autorevoli scienziati provenienti da ogni angolo della Terra. Fire Angel, scortato in manette al cospetto delle autorità e degli scienziati, non ha alcun problema a illustrare pacatamente le caratteristiche dell’ordigno. Lui stesso demolisce l’ipotesi, fatta da alcuni scienziati, di far detonare l’ordigno in profondità sotto la crosta terrestre: afferma che la potenza della detonazione, oltre a causare immani devastazioni con terremoti e tsunami, modificherebbe l’orbita della Terra intorno al Sole. Ma alle insistenti domande degli scienziati sulle finalità della bilancia digitale collegata all’ordigno, Fire Angel si rifiuta ostinatamente di rispondere.

E’ chiaro a questo punto che non rimane che una soluzione: lanciare l’ordigno nelle profondità dello spazio, lontano dalla Terra, dove potrà esplodere senza causare danni. Bisogna fare in fretta perché il timer della bomba indica che mancano solo 96 ore alla detonazione. Si stanno già studiando i dettagli del lancio di un razzo per portare l’ordigno lontano dalla Terra, quando il professor Brian Greene prende la parola: “C’è un grave problema – dice – se spediamo la bomba nello spazio, man mano che il razzo si allontana dalla Terra, il peso della bomba diminuirà per effetto della minore forza di gravità. Quindi il meccanismo di controllo della bilancia farà esplodere la bomba ben prima che questa arrivi a distanza di sicurezza dalla Terra.”

Un silenzio gelido cala nella sala … finalmente si è capito il perché della bilancia. Tutti si voltano verso Fire Angel che con calma annuisce e sussurra: “Sì, è così”. Un interprete seduto di fianco a lui a questo punto non si trattiene, gli salta addosso e gli affibbia un paio di ceffoni. Liberatosi dall’aggressore grazie all’intervento degli agenti di sicurezza, Fire Angel, con le mani verso il cielo, esclama: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”.

E’ nel più profondo silenzio della sala che il professore russo Ivan Podosky chiede di prendere a sua volta la parola. “Signori – dice – il professor Greene ha ragione ma c’è un altro problema altrettanto grave. Mentre il razzo accelera per uscire dalla gravitazione terrestre e dirigersi verso lo spazio, la bilancia segnerà un peso maggiore di quello attuale e la bomba esploderà comunque. A causa dell’accelerazione, la base dell’ordigno sarà spinta con più forza sul piatto della bilancia così come noi siamo spinti contro il sedile della nostra auto quando acceleriamo all’improvviso. Se il piatto della bilancia è premuto, questa, naturalmente, segnerà un peso maggiore e, se è raggiunto il peso di 75 kg, la bomba esploderà”.

Sentendosi senza vie di uscita il Presidente degli Stati Uniti chiede al tavolo se qualcuno ha altre idee. La risposta è un silenzio agghiacciante che dura alcune decine di secondi fino a quando il professor Greene chiede la parola. “Pensandoci bene, forse si può fare. Secondo quanto dice il professor Podosky, l’accelerazione necessaria per far partire il razzo farà segnare un peso maggiore; io invece ho sostenuto che la bilancia, una volta che l’ordigno è fuori della gravità terrestre, segnerà un peso minore per via della diminuzione della gravità. Ora secondo Einstein accelerazione e gravità sono equivalenti: un’accelerazione può simulare la gravità. Quindi se riusciamo a calcolare con grande precisione l’accelerazione del razzo in ogni istante, possiamo calibrare la spinta della bomba sulla bilancia, durante tutto il volo, entro una variazione del 50%.

Un brusio di commenti riempie la sala. Fire Angel, nel suo angolo fra le guardie, sembra perplesso … comincia a dare segni di nervosismo. “Professor Greene può essere più preciso?” chiede il Presidente della Cina. “In dettaglio – spiega il professore – penso che nelle prime fasi del decollo il razzo, quando la gravitazione terrestre è ancora forte, dobbiamo accelerare non di molto in modo da non raggiungere mai il peso di 75 kg. Man mano che il razzo si allontana dalla Terra, il peso della bomba sulla bilancia diminuisce e quindi dobbiamo man mano aumentare l’accelerazione per compensare la diminuita forza di gravità. L’accelerazione dovrà essere tale che il peso della bomba rilevato dalla bilancia sia sempre superiore a 25 kg. Io credo che se riuscissimo a controllare, in ogni momento, l’accelerazione del razzo allora potremmo addirittura fare in modo che la bilancia segni sempre lo stesso peso”.

Qualcuno racconta che a questo punto l’interprete di prima abbia fatto da lontano il gesto dell’ombrello a un livido Fire Angel. Sconvolto, in preda alla rabbia, egli grida: “Guai, guai a voi infedeli. Il regno del mondo appartiene al Signore nostro e al suo Cristo”.
Silenzio! – ordina il Presidente degli Stati Uniti – In altre parole, professor Greene, un’accelerazione verticale può produrre un sostituto della gravità? Cioè possiamo simulare gli effetti della forza gravitazionale grazie a un moto opportunamente accelerato?” “Proprio così. Questo è quello che dice Einstein con il suo principio di equivalenza – risponde il professor Greene – In pratica è possibile sparare la bomba nello spazio facendo gli opportuni aggiustamenti dell’accelerazione del razzo in modo che il peso segnato dalla bilancia non si sposti fuori dai limiti del 50% fino a quando il tutto è a distanza di sicurezza dalla Terra”.

Un applauso liberatorio erompe nella sala. Il Presidente degli Stati Uniti, facendosi sentire sopra il frastuono, incita “signori … scienziati, ingegneri e tecnici … al lavoro … abbiamo poco tempo”.

Questa storiella dovrebbe bastare a spiegare il concetto di equivalenza fra gravità e accelerazione. Ci sono comunque altri aspetti che possono essere spiegati chiamando in causa il nostro amico astronauta Tonino, quello che abbiamo incontrato nel primo capitolo.

Nel disegno della navicella spaziale ho messo le pareti di vetro per mostrare quello che succede all’interno. In realtà devi immaginare che Tonino si trova in un ambiente chiuso, senza oblò, senza aperture verso l’esterno.


Tonino, in pratica, non può avere alcun riferimento con il mondo esterno. Tonino sta fluttuando con la sua piccola navicella spaziale nel buio assoluto dello spazio cosmico vuoto e freddo. Nessun corpo celeste è in vista: non una stella, non un pianeta, non una cometa.

Essendo a distanza siderale da qualsiasi corpo celeste, Tonino e la sua navicella non risentono di alcun campo gravitazionale. Nella cabina della navicella spaziale, in assenza di forza di gravità, Tonino fluttua liberamente prima a testa in giù poi a testa in su. La sfera rossa di piombo e la sfera azzurra di alluminio gli fluttuano intorno, senza peso, rimanendo sospese a mezz’aria.

Se Tonino prova a fare un salto nella navicella, salirà dolcemente verso il soffitto della navicella con una velocità proporzionale alla forza del salto. Spingendo con un dito le sfere in una direzione qualsiasi, queste continueranno a spostarsi di moto uniforme in quella direzione fino a quando non urteranno una parete della navicella.

Tutto apparentemente obbedisce alla legge d’inerzia: o continua nel suo stato di quiete o si muove di moto uniforme in linea retta.

Noi siamo all’esterno della navicella, sappiamo che essa naviga nel vuoto siderale al di fuori di qualsiasi campo gravitazionale, possiamo quindi affermare che tutti i moti inerziali sperimentati da Tonino sono causati dall’assenza di gravità.

Mettiamoci ora nei panni Tonino. Chiuso com’è nella sua navicella spaziale senza riferimenti esterni, egli si sta chiedendo: “Poiché io volteggio nell’aria e tutto galleggia intorno a me posso affermare, con certezza, che i moti inerziali che sto sperimentando sono causati dall’assenza di gravità? E se invece sono in caduta libera nel campo gravitazionale della Terra? Non posso guardare fuori per vedere se la Terra si sta avvicinando ma posso fare qualche esperimento per verificare questa ipotesi?

Forti della nostra conoscenza delle leggi di gravitazione, possiamo rispondergli: “No, caro Tonino, nessun esperimento può provare che sei in caduta libera nel campo gravitazionale terrestre”. Infatti, come affermato giustamente da Galileo, la navicella, Tonino, e le due sfere subirebbero la stessa accelerazione gravitazionale, cadendo tutti insieme. Infatti, se fosse effettivamente in caduta libera verso la Terra, Tonino vedrebbe le due sfere e le pareti della navicella, come le vede adesso, cioè ferme rispetto a lui. Insomma, non potrebbe in alcun modo sapere se sta cadendo verso la Terra o se sta fluttuando nello spazio siderale.

Ma Tonino non è un tipo che si arrende facilmente. Senza pensare al rischio di sfracellarsi sulla superficie terrestre insieme alla sua navicella, egli sta riflettendo: “Se avessi una bilancia per pesarmi potrei però capire se sono in un campo gravitazionale. Il mio peso, infatti, è proprio la misura della forza che mi attrae verso la Terra.

Al che noi potremmo facilmente obiettare: “Vero, ma siccome anche la bilancia cade alla tua stessa velocità non farai alcuna pressione sul piatto della bilancia e quindi il tuo peso sarà zero.”

Bene – replica Tonino capatosta – allora il problema è risolto: poiché io una massa ce l’ho … dovrei comunque pesare qualcosa. Se invece peso zero, allora posso affermare che sono in caduta libera verso la Terra … ”.

Lo interrompiamo prontamente “ … oppure che stai fluttuando nello spazio perché sei sufficientemente lontano dalla Terra da non risentire della sua forza di attrazione. Da un punto di vista sperimentale, caro Tonino, tu non sei in grado di sapere se sei attratto nel campo gravitazionale terrestre e quindi stai accelerando in caduta libera verso la Terra oppure se stai fluttuando fuori del campo gravitazionale terrestre”.

Tonino sta riflettendo in silenzio quando, all’improvviso, le due sfere cadono sul pavimento della navicella ed egli stesso si ritrova seduto per terra.

Che cosa è successo?

La prima impressione di Tonino è di essere atterrato e di essere fermo sulla superficie terrestre. Infatti, proprio come succede sulla Terra, deve fare uno sforzo per sollevarsi dal pavimento. Cercando di sollevare dal pavimento le due sfere, valuta un peso di 10 chili per la sfera rossa e di 1 chilo per la sfera azzurra.

Non potendo sbirciare fuori della navicella, Tonino non può far altro che fidarsi delle proprie percezioni e i suoi sensi gli danno nettamente l’impressione di essere fermo sulla superficie terrestre immerso nel suo campo gravitazionale costante nel tempo.

Ma è proprio così?

Non è per caso che, fortuitamente, si siano accessi i razzi propulsori e che la navicella spaziale stia ora muovendosi in avanti nel vuoto dello spazio siderale con un’accelerazione costante di 9,8 m/s² ?

Tonino non può escludere questa ipotesi.

Infatti, se la navicella inizia a muoversi verso l’alto con moto uniformemente accelerato, il suo corpo e le due sfere risentiranno dell’accelerazione e dopo essere scesi sul pavimento, eserciteranno sullo stesso una forza peso proporzionale all’accelerazione del sistema. Se l’accelerazione della navicella è di 9,8 m/s² la sfera rossa peserà 10 chili, la sfera azzurra 1 chilo esattamente come sulla superficie terrestre.

Concludendo il discorso possiamo affermare che un semplicissimo moto accelerato crea un campo gravitazionale apparente non distinguibile in alcun modo da un vero campo gravitazionale dovuto all’attrazione di una massa.

In questa conclusione risiede il principio d’equivalenza tra gravità e accelerazione: un campo gravitazionale omogeneo è del tutto equivalente a un sistema di riferimento uniformemente accelerato.

Il principio è detto di equivalenza perché in esso un osservatore solidale con le masse in moto (Tonino nella navicella) non è in grado di distinguere un’accelerazione dovuta a una forza esterna da quella prodotta da un campo gravitazionale. La differenza è visibile solo da un sistema di riferimento non solidale con le masse in moto (noi, che, stando fermi, osserviamo il tutto dall’esterno).

Ma che c’è di così importante nel principio di equivalenza?

Einstein ne era entusiasta perché gli permetteva di superare il paradosso del moto accelerato come moto “assoluto”, cioè misurabile per sé, senza necessità di riferirlo a un altro sistema fermo. Poiché non c’è differenza fra un osservatore che non sente il campo gravitazionale e uno che non sta accelerando si può dire che “gli osservatori in moto accelerato possono affermare di essere stazionari, a patto che includano un opportuno campo gravitazionale nella descrizione del loro ambiente”.

Ma Einstein era entusiasta del “pensiero più felice della sua vita” anche per un altro motivo. La gravità è una forza straordinaria che permea tutto l’universo e definisce il moto di tutto il cosmo ma, al tempo stesso, è una forza misteriosa, sfuggente ed etera. Il moto accelerato invece, anche se più complicato di quello uniforme, è qualcosa di concreto, di tangibile, quindi indagabile sperimentalmente. L’aver trovato un legame fra queste due realtà permise a Einstein di usare quello che si sa sull’accelerazione come strumento per capire la gravità.

Mettere in pratica questa strategia non fu facile neanche per un genio del calibro di Einstein. Egli lavorò con dedizione estrema per ben otto anni dopo la felice intuizione per giungere alla teoria della relatività generale. Per arrivare al successo Einstein dovette forgiare un altro anello della catena che unisce gravità e moto accelerato: la curvatura dello spaziotempo di cui parleremo nella prossima puntata.

Luigi Di Bianco

ldibianco@alice.it