
Se, come ci insegna la Natura, l’essenza di ogni cosa, anche dell’uomo, è il suo “conatus”, il suo sforzo di perseverare nell’esistenza, allora la vera virtù consiste nell’agire mirando alla conservazione del proprio essere ricercando in ogni occasione il proprio utile.
”Quanto più uno si sforzi di ricercare il proprio utile, ossia di conservare il proprio essere, e sia in grado di farlo, tanto più è fornito di virtù” (IVP20)
“I precetti di ragione esigono che ognuno ami se stesso, ricerchi il proprio utile, beninteso che sia utile davvero, aspiri a tutto quanto porti davvero ad una perfezione maggiore”. (IVP18s)
Sono tanto più virtuoso quanto più ricerco il mio utile? Sembra l’apoteosi dell’egoismo.
Che fine hanno fatto le virtù del cristianesimo, i precetti dell’altruismo, della carità, dell’amore del prossimo che sono alla base del buon vivere cristiano?
Ma cosa vuol dire “ricercare il proprio utile”, quello che “beninteso sia utile davvero”.
E’ utile davvero tutto quanto ci fa stare bene, aumenta la nostra gioia di vivere e ci porta verso una perfezione maggiore. Tutto sembra ruotare intorno alle emozioni che proviamo che, fondamentalmente, ricadono sotto due categorie: quelle di gioia e quelle di tristezza. Le emozioni di gioia fanno “il nostro utile”, ci fanno star bene, potenziano la nostra voglia di vivere, quelle di tristezza ci fanno star male, deprimono la nostra voglia di vivere.
Purtroppo, essendo noi parte della Natura, non possiamo liberarci dal nesso di cause esterne e subiamo passivamente gli impulsi conflittuali che ci giungono dal mondo esterno. Allo stesso modo subiamo passivamente il naturale decadimento del nostro corpo che, con malanni vari, prima o poi ci porterà alla morte. Il più delle volte quindi il nostro animo è pervaso da emozioni di tristezza rispetto alle quali siamo impotenti e passivi.
Possiamo superare la passività ed avviare nella nostra mente un meccanismo “attivo” che ci permetta se non di cancellare la tristezza almeno di controllarla? Di fronte agli eventi dolorosi della vita la gente comune ricorre alla preghiera, all’implorazione di una grazia divina, alla speranza nel miracolo. Certo questo può aiutare, la speranza nella misericordia divina può dare momenti di conforto e allontanare momentaneamente la tristezza. La speranza però, di per sé, è un sentimento di tristezza, perché mettendosi nelle mani della volontà imperscrutabile di Dio, ci si pone nell’incertezza che non acquieta l’animo, anzi lo rende più ansioso. L’idea della preghiera come mezzo per influenzare la volontà di Dio è un’idea assolutamente non adeguata perché frutto di conoscenza vaga, confusa e superstiziosa. In quanto idea non adeguata la mente del credente non genera alcuna modalità “attiva” in grado di produrre quello che è “veramente utile”.
Solo con le idee adeguate, quelle che derivano dalla conoscenza razionale delle cose del mondo, si può innescare il pensiero “attivo” capace di ricercare il “nostro vero utile”. Il virtuoso, l’individuo razionale, capisce che il più grande bene è la conoscenza. Conoscenza di cosa? Ovviamente della Natura (o Dio), di come in essa tutti gli eventi si collegano in una trama causale regolata da leggi universali, immutabili ed eterne. Egli vede la propria esistenza incastonata per l’eternità in una ragnatela di collegamenti causali che si estendono nel tempo, dal passato, al presente, al futuro, sub specie aeternitatis. In questo senso, in quanto parte di una catena infinita di causalità, egli stesso si sente eterno.
Questa è la conoscenza intellettuale di Dio.
“Ciò che di supremo la mente può intendere intellettualmente è Dio, ossia l’Ente assolutamente infinito, senza del quale non può né esistere né venir concepito alcunché” (IVP28d)
In virtù della conoscenza scientifica della Natura (o di Dio), in tutti i suoi svariati fenomeni umani e non umani, il virtuoso non viene sballottato di qua e di là dalle passioni, dalla paura, dalla speranza, dall’angoscia. Egli rimane solido e fermo nel pensiero razionale che gli mostra chiaramente che tutto ciò che gli capita nella vita, compreso la malattia e la morte, non è altro che il necessario esito di processi che si svolgono secondo regole eterne ed immutabili.
Avendo razionalmente compreso l’ineluttabilità dei decreti divini, l’animo del virtuoso è acquietato nell’unica preghiera possibile, razionale, attiva: “sia fatta la tua volontà”