Semplicemente … la Teoria della Relatività Generale (3)

Il “pensiero più felice della sua vita”, il principio di equivalenza fra accelerazione e gravità, balenò nella mente di Einstein nel 1907, ma cinque anni dopo, egli era ancora in alto mare alle prese con il problema della gravità.
Abbiamo visto che la gravità newtoniana era per lui subdolamente sbagliata, ma, nonostante la dedizione estrema, egli non riusciva a definire una teoria della gravità compatibile con la sua teoria della relatività ristretta.
Nel 1912 scriveva al fisico Arnold Sommerfeld: “Sto lavorando esclusivamente al problema della gravità. […] Una cosa è certa, in tutta la mia vita non ho mai lavorato tanto duramente e l’animo mi si è riempito di un grande rispetto per la matematica, la parte più sottile della quale avevo finora considerato, nella mia dabbenaggine, un puro lusso. In confronto a questo problema, la teoria della relatività ristretta è un gioco da bambini”.
Partiamo dal principio di equivalenza e seguiamo passo-passo Einstein nel suo percorso di avvicinamento alla versione definitiva della relatività generale.
Abbiamo visto nel capitolo 2 che esiste un legame fra forza di gravità e moto accelerato.

Un osservatore in moto accelerato, come quello a sinistra, può sostenere di essere fermo, come quello a destra, fermo sulla superficie terrestre, perché può attribuire le forze che avverte a un campo gravitazionale. O meglio, non può dire se si sta muovendo di moto accelerato o se sta fermo in un campo gravitazionale.
Più in generale possiamo dire che “gli osservatori in moto accelerato possono affermare di essere stazionari, a patto che includano un opportuno campo gravitazionale nella descrizione del loro ambiente”.
La gravità può dirsi la spada con la quale Einstein taglia la testa del drago del moto assoluto. Egli ha dimostrato che gli effetti del moto accelerato, che dovrebbero rilevare “di per sé “ lo stato di moto di un corpo, non si possono discriminare dagli effetti della gravità.
Ma oltre al moto accelerato esistono altri tipi di moto non uniforme. Per esempio, quelli prodotti da forze inerziali come la forza di rinculo e la forza centrifuga. Considera per un attimo il moto generato dalla forza centrifuga: si tratta evidentemente di un moto non uniforme perché, anche se il valore della velocità non cambia, cambia invece continuamente la direzione del moto.
Il principio di equivalenza è valido anche in questo caso?
Immaginiamo che la navicella di Tonino venga agganciata con un cavo di acciaio a un’enorme giostra ruotante velocemente in qualche punto dello spazio.

Se la velocità di rotazione della giostra è quella giusta, Tonino, chiuso nella sua navicella spaziale, può dire legittimamente di essere fermo sulla superficie terrestre. Egli, infatti, si sente spinto verso il pavimento come se fosse attratto dalla forza di gravità terrestre, e cercando di sollevare le due sfere valuterà un peso di 10 chili per la sfera rossa e di 1 chilo per la sfera azzurra.
Tonino potrebbe anche legittimamente dire che i razzi della sua navicella si sono accessi e che quindi egli si sta muovendo con un’accelerazione costante di 9,8 m/s2 nello spazio interstellare.
Tu ed io, pedanti osservatori esterni, sappiamo invece che gli effetti che Tonino sta sperimentando non sono dovuti alla forza di gravità, né tantomeno dall’accensione dei razzi. Noi possiamo identificare questa forza come una forza inerziale o, come si dice per oggetti rotanti, come “forza centrifuga”.
Per evitare danni ai muscoli e alle ossa degli astronauti indotti dalle lunghe permanenze in assenza di gravità, per viaggi spaziali in programma per il futuro, si pensa di creare all’interno delle astronavi una gravità artificiale come quella che Tonino sperimenta sulla giostra. Come fare? Semplice, come nel film “2001: odissea nello spazio“, basta far ruotare l’astronave intorno al proprio asse come nella figura che segue.

In un sistema di riferimento ruotante le accelerazioni centrifughe sono le stesse per ogni corpo, indipendentemente dalla massa, esattamente come l’accelerazione di gravità sulla superficie terrestre. In questo modo gli astronauti possono vivere in un campo gravitazionale simulato. Per noi che guardiamo il sistema ruotante dall’esterno, sembra che l’astronauta Tonino poggi i piedi sulla parete verticale dell’astronave Discovery. Non è così per Tonino. Per lui il basso sta sotto i suoi piedi e gli oggetti cadono verso i suoi piedi proprio come succede sulla superficie della Terra. A pensarci bene, anche un osservatore che osserva la Terra dallo spazio, diciamo dal Sole, vedrebbe gli omini al polo Sud a testa in giù, con i piedi sopra la testa :-). Se rifletti per un attimo, puoi facilmente intuire che nello spazio non esiste né un “su”, né un “giù”. Quello che sulla Terra chiamiamo “giù” è semplicemente la direzione della gravità.
A questo punto ti starai chiedendo: ‘ma dove vuole arrivare Luigi con queste osservazioni evidenti se non ovvie?’ In effetti, queste considerazioni sono talmente semplici da apparire banali. Eppure Einstein riuscì a pervenire, proprio tramite queste apparenti banalità, a conclusioni stupefacenti riguardo alla natura della gravità e alla sua influenza sulle proprietà dello spazio e del tempo.
Pare che dopo la prima intuizione del 1907 sull’equivalenza gravità-accelerazione, la seconda chiave di volta Einstein l’abbia trovata nel 1912 nell’ambito di una semplice ma profonda conseguenza dell’applicazione della teoria della relatività ristretta a un sistema rotante come l’astronave Discovery.
Per spiegare di che si tratta ricorro, come il solito, a un semplice racconto.
L’astronave Discovery è ferma nella base di Andrew. Tutto intorno fervono i preparativi per l’imminente partenza dell’astronave per una missione nei profondi vuoti interstellari. L’astronauta Ciro ha avuto lo strano incarico di misurare il raggio di Discovery. Utilizzando un apposito righello di alta precisione Ciro misura un raggio di 1000 metri. La misura è esatta: corrisponde perfettamente alle misure progettuali. Anche Tonino ha ricevuto un righello di precisione uguale a quello di Ciro. Il suo incarico è di misurare la circonferenza di Discovery. Con santa pazienza Tonino completa la misurazione e comunica il valore trovato: la circonferenza di Discovery è di 6280 metri.
Bella scoperta!
Da che mondo è mondo la geometria piana, la cosiddetta geometria euclidea insegnata ai ragazzi delle scuole, dice che la formula per calcolare la circonferenza di un cerchio è c = r * 2 pi-greco. Tonino, sapendo che Ciro ha trovato un raggio di 1000 metri, poteva evitarsi la fatica e calcolare la circonferenza con al semplice formula: c = 1000 * 2 * 3,14 = 6280 m.
Completati i preparativi, l’astronave si solleva dolcemente dal suolo mentre Ciro e Tonino fanno “ciao, ciao” dagli oblò mostrando i righelli di precisione (ricordo, perfettamente uguali) che useranno in un esperimento scientifico durante la missione.
Dopo qualche tempo, ritroviamo Discovery nello spazio vuoto interstellare. Per creare la gravità artificiale l’astronave gira a velocità costante intorno al proprio asse. Ciro e Tonino, all’interno dell’astronave, sono pronti a compiere l’esperimento, mentre noi dall’esterno osserviamo il tutto.
Ciro, usando il suo righello, deve partire dal centro dell’astronave per misurarne il raggio. A Tonino è stato vietato di fare calcoli e gli è stato ordinato di misurare, realmente, con il righello, la circonferenza di Discovery.

Non appena Ciro e Tonino si mettono all’opera capiamo che c’è qualcosa che non va. Dal nostro punto di osservazione esterno all’astronave, ci accorgiamo che il righello di Tonino ora è più corto di quello di Ciro. Ma non erano perfettamente uguali prima della partenza di Discovery?
Si è vero, però la teoria della relatività ristretta ci dice che un oggetto si contrae nella direzione del moto (se vuoi approfondire visita: “Le distanze si accorciano” e, in effetti, Tonino sta usando il righello rivolto proprio nella direzione del moto.
Se il righello è più corto, la circonferenza lo conterrà un maggior numero di volte. Infatti, Tonino, terminato il lavoro, dichiara di aver misurato una circonferenza di 6300 metri invece dei 6280 metri che tutti si aspettavano.
E Ciro? Il suo righello non è rivolto verso la direzione del moto, anzi è perpendicolare a essa. Il suo righello dunque non si contrae affatto, per cui il raggio che Ciro troverà sarà di 1000 metri esattamente come misurato da fermo sulla Terra.
Noti qualcosa di strano nelle due misure trovate? Il rapporto fra circonferenza e raggio non è più 6,28 ma 6,3 (6300/1000). Che strano! Com’è possibile che esista un cerchio che viola la legge nota già agli antichi greci, secondo cui il rapporto fra circonferenza e raggio è esattamente 2pi-greco (6,28)?
Sembra che le relazioni spaziali della geometria piana, quella che ci è familiare, non siano valide per un osservatore in moto accelerato.
Gli oggetti elementari della geometria – punti, linee, triangoli, cerchi – sono tradizionalmente definiti su una superficie piana a due dimensioni. Ma esistono anche superfici curve come la superficie della Terra o la superficie di una palla. Quali sono le relazioni spaziali di un triangolo o di un cerchio disegnato su una superficie curva?

Nella figura c’è un cerchio disegnato su una superficie piana (a); uno disegnato su una sfera (b); uno disegnato su una sella (c). Anche se hanno raggio uguale, i tre cerchi hanno circonferenza diversa. Per esempio, la circonferenza sulla sfera (b), è minore di quella sulla superficie piana (a). Questo perché la curvatura della sfera fa convergere lievemente le linee radiali del cerchio così che la circonferenza è contratta. Viceversa, il cerchio disegnato sulla sella avrà le linee radiali leggermente divergenti così che la sua circonferenza sarà dilatata.
Il rapporto tra circonferenza e raggio sarà inferiore a 6,28 nel caso (b) e maggiore di 6,28 nel caso (c).
Possiamo a questo punto giungere alla conclusione che il moto accelerato genera una curvatura dello spazio. In realtà, esso fa’ curvare anche il tempo (infatti, secondo la relatività ristretta, esiste un’unione indissolubile fra spazio e tempo: ciò che è vero per lo spazio, è vero anche per il tempo), ma per il momento, per non complicare troppo le cose, tralascio il tempo e cerco di visualizzare lo spazio curvo partendo dalla rappresentazione di uno spazio piatto.
Come si può rappresentare graficamente uno spazio piatto? Sappiamo che lo spazio ha tre dimensioni, lunghezza, larghezza e altezza, ma per disegnarlo su un foglio a due dimensioni dobbiamo tralasciarne una. Facciamo finta per un attimo che la dimensione altezza non esista. In questo caso, lo spazio piatto può essere disegnato così:

Nel disegno è raffigurata una porzione bidimensionale dello spazio. La griglia che ho disegnato è un modo efficace per specificare la posizione degli oggetti nello spazio. Per esempio, il corpo massiccio rosso è nella posizione 7,6; il corpo più piccolo azzurro è nella posizione 7,13.
Per andare dal corpo rosso a quello verde per la via più breve basta seguire la linea retta tratteggiata. Per millenni, fino a Einstein, l’uomo si è raffigurato lo spazio in questo modo: un palcoscenico inerte e vuoto su cui i corpi si muovono e gli eventi accadono.
Come rappresentiamo ora lo spazio curvo? Abbiamo visto prima che possiamo avere uno spazio curvo ‘chiuso’ come quello della superficie di una sfera, o uno spazio curvo ‘aperto’ come quello della superficie di una sella. Quale tipo di curvatura è quella giusta? Dall’esperimento di Ciro e Tonino è risultato che il rapporto fra la circonferenza e il raggio della Discovery è maggiore di 2pi-greco quindi, per quanto detto prima, possiamo concludere che il moto accelerato genera una curvatura ‘aperta’ dello spazio simile alla curvatura della superficie di una sella.
Nella figura che segue ho disegnato lo spazio con due curvature di tipo ‘a sella’.

I due avvallamenti modificano la struttura dello spazio circostante e quindi le relazioni fisiche fra i punti. Abbiamo visto prima che, in uno spazio piatto, la strada più breve tra due punti A e B è una linea retta. Che cosa succede quando lo spazio diventa curvo? Come puoi vedere dalla figura, la traiettoria più breve fra due i punti A e B su uno spazio curvo non è più una linea retta ma una particolare curva che è chiamata ‘geodetica’.
Una semplice analogia può essere utile per spiegare il concetto di geodetica.
Le linee di longitudine o quella dell’equatore sulla superficie della Terra sono geodetiche. Queste linee non sono diritte semplicemente perché devono seguire la curvatura della superficie della Terra. Le geodetiche hanno una caratteristica particolare: a differenza delle parallele su un piano che non si incontrano mai, geodetiche parallele si possono incontrare. Per esempio, due linee di longitudine, che siano parallele all’equatore, si incontrano tuttavia ai poli.
Gli aerei di linea da Londra a New York, per risparmiare carburante e per arrivare prima, devono fare la rotta più breve quindi devono seguire una geodetica.

Ti potrà sembrare strano ma la rotta più breve fra Londra e New York non è la linea arancione. Per andare a New York, l’aereo va prima verso nord raggiungendo quasi la Groenlandia, poi curva verso sud sorvolando il Canada. In pratica segue la geodetica rappresentata dalla curva rossa.
Ricapitolando: (1) abbiamo visto che, secondo il principio di equivalenza, gravità e moto accelerato sono indistinguibili negli effetti; (2) con l’esempio dell’astronave Discovery ho mostrato che una descrizione matematica del moto accelerato implica la curvatura dello spazio; (3) se accelerazione e gravità sono equivalenti, possiamo dedurre che anche la gravità implica la curvatura dello spazio, anzi è la curvatura dello spazio. Concludendo la catena di deduzioni, possiamo ipotizzare con Einstein che la presenza di un corpo massiccio come il Sole deforma la struttura dello spazio circostante, come mostrato nella figura seguente.

Secondo un’analogia assai sfruttata ma molto utile, lo spazio è come una membrana di gomma su cui viene posata una palla pesante. Più è pesante la palla, più profondo è l’avvallamento. A questo punto, la superficie della membrana non è più una superficie piana ma una superficie irregolare che influenza il moto delle palline che dovessero scorrerci sopra. Se per esempio prendo la palla piccola azzurra e la lascio andare a una certa velocità verso sinistra, il percorso che essa seguirà la porterà a cadere nell’avvallamento della palla rossa. Se invece la spingo con la giusta velocità verso l’alto e verso sinistra, la palla azzurra rotolerà lungo il bordo dell’avvallamento prodotto dalla palla rossa. Anche nello spazio curvo succede la stessa cosa: i corpi celesti in movimento nelle vicinanze di un incurvamento dello spazio causato dalla massa di un grande corpo celeste come il Sole sono costretti a percorrere uno spazio modificato. Nel caso del pianeta Terra che gira intorno al Sole accade proprio questo: la velocità e la posizione della Terra rispetto al Sole sono tali che la Terra, in assenza di attriti, orbita attorno al Sole rotolando sul bordo dell’avvallamento dello spazio causato da quest’ultimo. Non c’è alcun motivo di ipotizzare una forza di attrazione gravitazionale da parte del Sole!
Cosa succederebbe se la velocità della Terra dovesse essere leggermente inferiore a quella che è? La Terra cadrebbe nell’avvallamento del Sole e si fonderebbe in esso. E se la velocità fosse leggermente superiore? La Terra uscirebbe dall’avvallamento del Sole e, abbandonando l’orbita solare, si inoltrerebbe nello spazio interstellare fino a quanto non trova un altro avvallamento (sperando che non sia l’avvallamento di un buco nero).
Questa idea rivoluzionaria ci dice che lo spazio non è una scenografia inerte e passiva: esso si modifica, si plasma, a secondo degli oggetti (corpi celesti) sulla scena. A sua volta, lo spazio curvo dice agli oggetti come muoversi, quali traiettorie seguire. Se consideri infine che gli oggetti in moto modificano la struttura dello spazio che attraversano, puoi ben intuire la differenza enorme che c’è fra lo spazio plastico, deformabile, della relatività generale e lo spazio vuoto, inerte e immobile della visone pre-Einstein.
A questo punto una domanda sorge spontanea. Ma lo spazio non è vuoto? Come fa il vuoto a incurvarsi? Come può il vuoto influenzare il moto dei corpi?
La risposta ce la dà direttamente Einstein. In “Sidelights on relativity” egli scrive: “The recognition of the fact that ‘empty space’ in its physical relation is neither homogeneous nor isotropic, compelling us to describe its state by ten functions ( the gravitation potentials ), has, I think, finally disposed of the view that space is physically empty.”
Egli dice: “Il riconoscimento del fatto che lo ‘spazio vuoto’ nella sua relazione fisica non è né omogeneo né isotropo, costringendoci a descriverne lo stato in base a dieci funzioni (i potenziali gravitazionali), credo, abbia finalmente eliminato l’idea che lo spazio sia fisicamente vuoto”
In altre parole, il vuoto non esiste.